Questa domenica del 16 giugno è dedicata dalla Chiesa Valdese ad una riflessione sulla Trinità. E’ opportuno che almeno una volta all’anno ci si soffermi su questo dogma della nostra fede. Per i protestanti, e per noi Valdesi in particolare, la parola “dogma” è urticante, irrita. Irritiamoci pure, prendiamocela con i cattolici “ loro,sì, pieni di dogmi!”, ma questo è un dogma ed è un fondamento della nostra Confessione di fede del 1665, mai rimesso in discussione dai Sinodi successivi, fino ad oggi.
Mi sembra opportuno, a questo punto, riportare l’art.1 della Confessione di fede valdese del 1665
Confessione di fede delle ChieseRiformate, Cattoliche et Apostoliche del Piemonte, confermata per testimonianze espresse dalla Santa Scrittura.. Avendo inteso che i nostri Avversarii, non contentandosi di haverci crudelmente perseguitati e spogliati de’ nostri beni, per renderci vie più odiosi, vanno ancora seminando de’ falsi rumori tendenti non solo a macchiare le nostre persone, ma principalmente a denigrare con calonnie infami la santa e salutare dottrina, la quale professiamo; Noi siamo obligati per chiarire lo spirito di quelli che potrebbono essere preoccupati di tali sinistri pensieri, di fare una breve dichiaratione della nostra fede, quale l’habbiamo per l’addietro avuta, e la teniamo ancora hoggidì, conforme alla Parola de Dio, acciocché ognuno vegga la falsità di quelle calonnie e con quanta ingiustitia siamo odiati e perseguitati per una sì innocente dottrina. Noi crediamo
Articolo 1 - (Trinità)Che vi è un solo Iddio, il quale è una Essenza spirituale, eterna, infinita, del tutto savia, misericordiosa, giusta, in somma del tutto perfetta; e che vi sono tre Persone in quella sola e semplice essenza, il Padre il Figliuolo e lo Spirito Santo
La parola “dogma, qualifica ciò che viene affermato e condiviso come vero ma non dimostrabile né con argomentazioni storiche o logiche né con prove scientifiche. La nostra Chiesa Valdese riconosce soltanto pochissimi dogmi, sostanzialmente quelli già contenuti nella Confessione di fede niceno –costantinopolitana ( 325 – 381 ); su molti di questi dogmi è in corso da decenni una riflessione, sia dagli studiosi sia dalle comunità, tendente a comprendere cosa veramente volesse dire chi li ha formulati e se siano fondati su una riflessione ed esperienza religiosa e non anche su influenze esterne, come quelle dei politici dominanti.
Ci tengo, a questo punto, a precisare che questo non sarà un sermone sulla “Trinità”, poiché mi sento totalmente inadeguato a tale compito; sarà una semplice riflessione, partendo da qualche esperienza personale o vissuta assieme a questa chiesa locale.
Quasi un decennio fa questa chiesa valdese fu coinvolta in una discussione – che poi divenne dura polemica da parte di chi ci negava persino il diritto di porci problemi e di discutere - sulla divinità di Gesù, sul fatto se il battesimo dovesse essere amministrato in nome di Gesù o della Trinità, sulla “vera” comprensione delle “persone” della Trinità. La discussione venne innescata da alcuni sermoni e studi biblici del nostro pastore, Alessandro Esposito, che ci proponeva una fede animata dalla ricerca e dal dubbio, ma al quale non passava certamente per la testa di proporci “altri” o “nuovi” dogmi; infatti questa comunità discusse animatamente e ognuno approfondì la propria esperienza di fede.
Però la polemica scoppiò sul web e fu salutare, tracimò dai confini della nostra piccola chiesa, toccò la comunità ecclesiale nel suo complesso. Il settimanale Riforma, organo ufficiale in Italia delle chiese valdesi metodiste battiste ospitò interventi animosi, ricolmi di domande e perplessità e donò ai lettori le risposte sagge e ricche di profonda competenza teologica del teologo e pastore della nostra chiesa Paolo Ricca.
Tutto questo dibattito potete trovarlo sul sito di Riforma, sul sito della nostra chiesa www.chiesavaldesetrapani.com o anche ponendo direttamente la domanda in internet.
Mi limito a citare soltanto alcune considerazioni di Paolo Ricca, su Riforma del 26 febbraio 2010, in risposta a una lettera che poneva diversi quesiti, tra cui questi
. E nessuno finora è riuscito a spiegarmi questa figura di tre in uno o uno in tre. La mia domanda è questa: può essere cristiano a pieno titolo chi non abbraccia la confessione di fede trinitaria? Non è forse vero che nel primo periodo del cristianesimo questo problema non sussisteva?
Risponde Paolo Ricca:
Il problema sussisteva, eccome! È esistito fin dagli albori del cristianesimo. Il problema era: come accordare la divinità di Gesù, creduta e confessata dai cristiani, con la divinità dell’unico Dio della fede ebraica. E come accordare la divinità di Gesù e del Padre con l’esperienza dello Spirito a Pentecoste, vissuta in tutto e per tutto come un’autentica esperienza di Dio. Per dipanare questo problema ci sono voluti più di tre secoli di discussioni accese e scontri teologici anche violenti, fino a che, nel concilio di Nicea del 325 fu stabilito come dogma, cioè come articolo di fede, la dottrina di Dio uno e trino insieme…Il concilio di Costantinopoli del 381 fece alcune aggiunte; la più importante riguarda l’articolo sullo Spirito Santo, che ora suona così:
«[Crediamo] nello Spirito Santo, che è Signore e dà vita, che procede dal Padre, e insieme al Padre e al Figlio dev’essere adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti».
Il dogma trinitario venne imposto a tutta la cristianità come legge statale dall’imperatore Teodosio con un editto del 28 febbraio 380, nel quale si dichiara che
«secondo la disciplina apostolica e la dottrina evangelica noi crediamo un’unica Divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in uguale maestà e pia trinità».
Coloro che non credono nel Dio trinitario sono giudicati nell’editto stesso «dementi e pazzi», porteranno l’infamia dell’ «eresia», i loro locali di culto «non potranno chiamarsi chiese» e su di loro cadrà non solo la «vendetta divina», ma anche la «punizione» dell’imperatore.
Così, da quell’anno, non credere nella Trinità divenne non solo una posizione eterodossa, ma un crimine politico di prima grandezza, punito con la pena di morte. Negare la Trinità equivaleva a negare proprio il Dio cristiano, la cui tipica fisionomia trinitaria lo differenziava nettamente dal monoteismo ebraico e, a partire dal VII secolo, da quello musulmano. ………….
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Ciascuno di noi è, al tempo stesso, uno e molteplice. Questo non compromette l’unità della persona, anzi l’arricchisce. Così Dio è uno e tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, tre modi diversi di essere l’unico Dio. Non c’è separazione, né confusione, né contraddizione. C’è invece comunione. La dottrina trinitaria, in fin dei conti, vuol dire proprio questo: che Dio è comunione. E questa – mi sembra – è una buona notizia……
«Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matteo 7, 21). I cristiani si riconoscono dai frutti più che dalle dottrine. Non saremo giudicati sulla base delle dottrine, ma su quella della fede e delle opere. Concludo dicendo che la fede cristiana è trinitaria, ma che, come insegna Matteo (25, 31-46), si può fare la volontà di Dio anche senza credere nella Trinità.
Oggi, mi sembra di poter dire che noi confessiamo la nostra fede nella Trinità, ma non siamo più disponibili come nel passato a perseguitare, considerare figli del demonio, bruciare sul rogo ( come fu fatto a Michele Serveto nella Ginevra di Calvino) chi cerca vie diverse di comprensione dell’unica fede nella Parola di Gesù
Abbiamo sperimentato e sperimentiamo tuttora come sia terribile per le comunità attribuire al potere politico, agli Stati, la rappresentanza e la imposizione della fede religiosa. Noi cristiani abbiamo avuto bisogno di secoli di discriminazioni e repressioni reciproche per poi scoprire, alla fine, soltanto da pochi decenni, ( ma non tutti e non sempre) che si può convivere in fraternità anche avendo fedi diverse o modi diversi di vivere la stessa fede E oggi, purtroppo, nel mondo musulmano e non solo ma anche nella grande India induista e, persino, tra i buddisti, si manifestano feroci discriminazioni, che prendono a pretesto differenze religiose. Lungo è ancora il cammino verso società in cui si conviva accettando le inevitabili e normali differenze. E questo spazio di convivenza non ce lo daranno le religioni ma quella straordinaria invenzione politica degli ultimi tre secoli, che è lo Stato laico.
Vorrei concludere questa conversazione ricorrendo alla mia esperienza di docente di Letteratura italiana, Nella nostra letteratura custodiamo il più difficile, alto, artisticamente perfetto tentativo di raccontare l’esperienza di un uomo ammesso alla visione diretta di Dio. Non in sogno né in estasi, ma con la mente, la ragione ben attiva, al massimo delle sue potenzialità di ragionamento e comprensione. Dante ha tentato veramente di raccontare il cammino della mente in Dio. Ha assorbito tutto ciò che la teologia offriva ai suoi tempi ( e da allora la teologia su questo punto non ha fatto grandi passi in avanti) e lo ha tradotto in una esperienza umana comunicata ai posteri con uno sforzo artistico inarrivabile ( e in pochissimi versi)
La faccio breve.
Siamo nell’ultimo canto del Paradiso, il centesimo e conclusivo di tutta la Divina Commedia. Dante è arrivato alla fine, quando gli verrà donata da Dio stesso la soddisfazione del desiderio più profondo dell’essere umano: non avere più desideri poiché tutti sono goduti nella visione di Dio.
Siamo nelle ultime terzine. Dante è trinitario convinto ed è certo che in Gesù si incontrano l’umano e il divino. Ma ora “vedrà” con gli occhi della mente ( o con gli occhi della carne, non lo sa nemmeno lui) l’essenza di Dio, cioè la Trinità, e l’Incarnazione.
Come può comunicare agli altri un mistero che supera ogni possibilità di comprensione dell’essere umano?
L’artista ricorre a delle immagini facilmente comprensibili, all’apparenza, ma ecco che aggiunge un particolare essenziale e quelle immagini semplici esplodono e divengono incomprensibili per la nostra ragione.
La Trinità: Vede tre cerchi di tre colori ben distinti e che si riflettono tra di loro. Uno di questi tre cerchi sembra di fuoco e immerso in un flusso proveniente dagli altri due. L’immagine è chiara anche per le menti umane. Ma Dante aggiunge un particolare che rende l’immagine assolutamente incomprensibile: i tre cerchi sono distinti sì, ma occupano lo stesso spazio ed hanno lo stesso contenuto. E la visione esplode.
L’Incarnazione. Dante comprende che il cerchio di fuoco è quello che noi chiamiamo la seconda persona della Trinità, è la Parola, la Parola che si è incarnata nell’umanità divenendo Gesù.
Dante, come tutti i grandi teologi ( e come tutti i fedeli, in fondo), è ossessionato da questo Gesù, uomo e Dio. E ora ha l’occasione di “vedere” l’Incarnazione, che non è solo un mistero per l’umanità ma è il mistero di Dio. Ci racconta, (in due terzine!) che i suoi occhi esaminarono, tutt’attorno, con attenzione spasmodica, quel cerchio e videro che il cerchio portava in sé l’immagine dell’essere umano. Questa immagine riempie tutto il cerchio ed è dello stesso colore. Cioè è assurda e non potrebbe essere vista; ma la vede. Un tormento terribile assale la mente di Dante: vuole comprendere l’incomprensibile. A questo punto la mente umana crolla, ma la stessa mente umana viene presa dalla grazia di Dio e colpita da un “fulgore”, nel quale Dante, oltre ogni ragionamento, soddisfa questo suo desiderio immenso: la mente umana che comprende Dio. Ma ciò può essere soltanto un attimo, dono di Dio. Poi l’essere umano ritorna ad essere uno dei tanti soggetti che si muovono nella ruota del mondo. E Dante si ferma lì. Il poema termina.. E ci ha detto che solo un’illuminazione, dono di Dio, ci può far fare l’esperienza della Trinità e dell’Incarnazione.
Io sono convinto che il dibattito, nella sua essenza, è tutto lì.
Giovanni Lombardo - culto del 16 giugno 2019