Doveva realizzare un impianto di itticoltura, ma non aveva ottenuto nè i permessi nè le concessioni demaniali, e soprattutto non aveva completato l’impianto. Eppure aveva ottenuto lo stesso i fondi dalla Regione, oltre due milioni di euro.
Ora però è arrivata la condanna e deve restituire tutto. Protagonista della vicenda la Marsalittica, società cooperativa a responsabilità limitata messa in liquidazione coatta, e il suo ex amministratore, Aurelia Piccione, marsalese. Sono stati condannati in solido dalla sezione giurisdizionale della Corte dei Conti a restituire alla Regione Siciliana ben 2.223.463 euro, che diventeranno molti di più non appena si calcolerà la rivalutazione monetaria e gli interessi legali.
Era stata la Guardia di Finanza di Marsala, nel 2015 ad indagare sull’attività della Marsalittica. Aveva preso le carte dell’azienda che era riuscita ad ottenere un cospicui finanziamento pubblico e aveva scoperto che erano state effettuate operazioni illecite. La società avrebbe “percepito indebitamente la somma erogata ai sensi della legge della Regione Siciliana 18 agosto 1978 n.37”.
L’impianto doveva sorgere in contrada Triglia Scaletta, comune di Petrosino, e doveva occuparsi, appunto, dell’allevamento di pesce. Un progetto presentato nel 1991, che ottenne tra il 2006 e il 2007 i finanziamenti pubblici. Prima arrivarono 1,3 milioni di euro come contributo in conto capitale, poi 890 mila euro come mutuo. Possono cominciare i lavori, in una terra come la Sicilia un nuovo insediamento produttivo è cosa sacra, soprattutto se avviene con i fondi pubblici. Ma qualcosa non va bene. Se ne accorgono tra il 2011 e il 2012 gli ispettori del Dipartimento attività produttive che fanno dei controlli sulla Marsalittica. Scoprono diverse “criticità gestionali riguardanti la realizzazione del programma finanziato con risorse pubbliche”.
Scrive il giudice contabile che la società è stata definita dagli ispettori non in grado, dopo sei anni dall’ok al contributo, di raggiungere lo scopo sociale. Da lì parte lo scioglimento coatto della società. Anche da quello che raccoglie la Guardia di Finanza emerge che “il programma per il quale le predette risorse pubbliche sono state erogate, vale a dire l’impianto di itticoltura, non è stato realizzato e che parte delle risorse stesse è stata ottenuta documentando la corrispondente spesa con “fatture relative ad operazioni inesistenti””. Non solo non era stato realizzato quanto si doveva, ma la società ha cercato di far passare come pezze d’appoggio per salvare il contributo milionario, delle fatture per acquisti mai fatti.
Gli ispettori scoprono anche che gli immobili in cui doveva svolgersi l’attività erano in uno stato di totale abbandono e che “la maggior parte degli impianti idrici ed elettrici sono stati asportati”, che “i tetti dei capannoni ormai sono inesistenti” e che le “gabbie che dovrebbero essere utilizzate per l’allevamento delle specie ittiche si trovano conservate presso un appezzamento di terreno recintato, nel comune di Mazara del Vallo” . Nonostante tutto la società dice che deve fare la manutenzione straordinaria delle attrezzature e chiede altri 621 mila euro. Ma la Regione non ci casca più e non dà un centesimo. Anzi, qualche anno dopo lo scioglimento, siamo già nel 2018, la Regione revoca il contributo. Vuole indietro i 2,3 milioni di euro. Una cifra enorme, che sarebbe servita a creare un nuovo insediamento produttivo, per creare posti di lavoro. E’ stata invece una scusa per acciuffare i soldi e non realizzare nulla. Come spesso accade dalle nostre parti.