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30/06/2019 06:00:00

Speciale "I leoni di Sicilia": una recensione d'autore

 [Per i lettori di Tp24 abbiamo pensato uno speciale sul libro dell'anno, «I leoni di Sicilia» di Stefania Auci. Ci aspettano una recensione d'autore firmata da Domenico Cacopardo e un'intervista esclusiva all'autrice!]

 

di Domenico Cacopardo

 

Non è un caso che, ancora prima di essere nelle librerie italiane, questo «I leoni di Sicilia» di Stefani Auci, Editrice Nord, euro 18, sia stato già venduto negli Stati Uniti, in Germania, in Francia, in Spagna e in Olanda e sia stato opzionato per una serie televisiva. Si tratta della saga -e le saghe sono di gran moda nel mondo anglosassone- della famiglia Florio, una delle grandi famiglie d’Italia, protagonista di una stupefacente crescita dall’arrivo a Palermo allo spirare del 1799 sino a quando, dopo la seconda guerra mondiale è arrivato il declino, il crollo e, infine, per qualche decennio, l’oblio. La Auci, scrittrice siciliana, si occupa del periodo che va dall’inizio sino alla seconda metà dell’Ottocento. Dato il risultato, c’è da credere che l’editore le abbia commissionato il resto.

Preciso subito che si tratta di un romanzo. Altro, una storia puntuale della genìa non avrebbe interessato nessuno o quasi, e non sarebbe potuta arrivare al grande pubblico, come sancito per questo “Leoni” dalla critica e dalle tirature.

Il tema, quindi, è svolto sul doppio registro degli eventi più o meno noti che riguardano l’inserimento dei Florio (i fratelli Paolo, con la moglie Giuseppina, e Ignazio) a Palermo, città di commerci internazionali, soprattutto da quando Ferdinando I ne aveva fatto la capitale del suo regno, visto che il regno di Napoli gli era stato sottratto da Napoleone: la flotta inglese dominava il Mediterraneo e proteggeva i traffici della città, consentendo alle merci provenienti dalle americhe e dall’Oriente di giungere illese all’ombra del Monte Pellegrino e, da qui, ripartire per l’interno dell’isola o per altre destinazioni continentali. In quel periodo, lo scettro di emporio commerciale più importante della Sicilia, era stato sottratto a Messina, che aveva iniziato a declinare, di un declino irrimediabile, sancito poi dal terremoto del 28 dicembre del 1908.

A Palermo, in un negozietto, un’«Aromeria» di cui erano da tempo proprietari, inizia l’avventura dei due fratelli che, a corto di quattrini,  alloggiano in un terraneo, poco più di un tugurio, vicino alla bottega. Paolo che ha un figlio, Vincenzo, è il capo. Determinato, duro, dalla mattina alla sera in cerca di affari che allarghino il giro. Ignazio, il fratello meno dispotico e abbastanza umano, si occupa delle retrovie: dell’amministrazione, del personale, delle relazioni sociali.

Così, quando Paolo viene portato via dalla tisi, è lui che prende il potere e lo amministra saggiamente, accudendo il nipote Vincenzo. Giuseppina, la vedova, di cui il cognato è segretamente innamorato, cova il risentimento per Palermo e per chi ce l’ha condotta, rimanendo ancorata alle sue origini calabresi (è bagnarota) e ai tanti conterranei immigrati nella sua nuova città.

Quando è il turno di Vincenzo di comandare, per l’invecchiarsi di Ignazio e, poi, la sua scomparsa, la famiglia e le sue aziende decollano sino a giungere alla vetta dell’imprenditoria del Regno delle Due Sicilie, ricompostosi dopo il 1816 e la scomparsa di Napoleone dalla scena europea.

La Auci racconta anche la storia di Vincenzo, quindi, e della sua compagna, amante e poi moglie Giulia, figlia di un imprenditore milanese, trasferitosi in Sicilia.

Ma non andiamo oltre. Non vorremmo fornire ai lettori una sinossi di un romanzo-storia, ricco di particolari gustosi e importanti che riguardano anche la nobiltà parassitaria isolana, e gli avventurieri inglesi (Whittaker e Ingham) che vi hanno fatto fortuna, col commercio e con il vino.

Quello che conta, credo, per i nostri lettori è la lodevole ricostruzione di un ambiente remoto e, in qualche misura, arcaico, nel quale, nonostante vincoli, pregiudizi e ostilità lo spirito imprenditoriale indomito e innovativo riesce ad affermarsi sino all’avvio di un embrione di industria, all’importazione di macchinari a vapore, all’invenzione del tonno sott’olio (prima veniva messo sotto sale e, perdendo le proprietà organolettiche, provocava nei marinai delle varie flotte e nei viaggiatori, lo scorbuto), alla realizzazione della flotta privata più grande del mondo con un tonnellaggio ben superiore a quello della Regia Borbonica Marina.

È quest’aspetto, cui l’autrice dona gli effetti di una evidente e ammirata partecipazione e dell’ampia visione mutuata dai protagonisti, che può affascinare e affascina i lettori.

In fondo, dalle pagine di «I leoni di Sicilia» si può apprendere proprio la lezione permanente che lo spirito d’intrapresa, assistito da una volontà di ferro, può superare e supera ogni difficoltà, ogni divieto, ogni ostacolo.

È ciò che serviva nell’Ottocento, nel Novecento e che ancora oggi serve come l’aria che respiriamo.

 

www.cacopardo.it