Pubblichiamo la seconda parte della storia di Riccardo, un giovane marsalese, neanche ventenne, che ha provato sulla sua pelle la condizione indegna di sfruttamento dei lavoratori del settore della ristorazione, come del turistico - alberghiero, della nostra provincia. Riccardo ha voluto raccontare la sua esperienza da giovane lavoratore a San Vito Lo Capo, capitale del turismo locale. Qui potete leggere la prima parte, a seguire, invece, la seconda parte, che comincia dal quarto giorno di lavoro.
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Già dal quarto giorno lavorai in uno stato psico-fisico di forte stress: il materasso-sottiletta su cui dormivo divenne troppo curvo per consentirmi di dormire bene. Fuori ero gentile, disponibile e sorridente con i clienti; una volta dentro la mia espressione si incupiva mentre dichiaravo gli ordini. Smettevo di sorridere per prendere aria, per interrompere l’ipocrisia. Una volta fuori tornavo gioviale.
Il giorno dopo capii definitivamente che la scoliosi non mi avrebbe permesso a lungo di lavorare a quel ritmo. Non crediate che sia una grave disabilità, la mia. È appena qualche grado di troppo, ma sono in grado di fare qualunque cosa che non sia un sovraccarico eccessivo. La deviazione del mio corpo metteva a nudo la deviazione delle condizioni di quel lavoro. Entrambe le cose erano storte, non erano come avrebbero dovuto essere, erano degradate, ma consentivano la sopravvivenza, per questo nessuno osava lamentarsi. Io, per fortuna, ho le spalle coperte, pensai. Già dal secondo giorno chiamai un sindacato nella mezz'ora prima delle dieci che mi ero ritagliato. Mi dissero che per denunciare lo sfruttamento avrei dovuto avere la testimonianza di qualcuno. Certamente il principale avrebbe mentito, i clienti non avrebbero potuto essere attendibili e i miei colleghi avrebbero fatto silenzio, perché se avessero parlato non avrebbero piú potuto mantenere la famiglia. I miei colleghi e io eravamo in trappola, loro molto piú di me, perché io ero solo un pischello con le spalle coperte, con bisogni meno urgenti di chi non poteva permettersi di rifiutare una tale disumana umiliazione. Le due cose che mi fecero incazzare sono queste: il sindacato avrebbe chiuso alle 13, quindi non avrei potuto chiamarlo se non alle 9, dovendo quindi tagliare ancora il sonno; ma soprattutto che la legge ignora che le vittime in questo caso non hanno modo di dimostrare la propria condizione di sfruttamento, perché denunciarla vorrebbe dire smettere di lavorare per sempre da quelle parti. Lo Stato ignora tutto questo nonostante conosca le dinamiche, lascia via libera agli sfruttatori di fare come vogliono. Infatti gli sfruttatori si permettono di pagare una miseria i proprî dipendenti perché si sentono protetti proprio dallo Stato! Sanno benissimo che resteranno impuniti per l’equilibrio di forze che si è formato, che va a vantaggio loro e di loro soltanto. Questo non è lavoro, è sfruttamento ai limiti della schiavitú. Due pasti al giorno, tra l’altro scarsi, zero tempo libero, lavorare e dormire, lavorare e dormire, sette giorni su sette. Piú che un posto di lavoro, sembrava un campo di lavoro, tutti concentrati in piccole stanze, con qualche metro quadro che fungeva da camera da letto. Come canta Caparezza: “Rumeni ammassati nei bugigattoli come pelati in barattoli, costretti a subire ricatti di uomini grandi ma come i coriandoli”, solo che non eravamo rumeni ma italiani.
A dirla tutta, comunque, non erano proprio sette giorni filati: ognuno di noi aveva diritto a mezza giornata libera a settimana. Sembrava una concessione gentile e umana da parte dello sfruttatore, invece andava vista al contrario: sette mezze giornate libere che venivano decimate, lasciandone una sola. Un furto di vita. Feci di nuovo un calcolo: 26,67 euro al giorno per 12 ore circa, senza contare gli straordinarî diurni e notturni: 2,22 euro l'ora. Rendiamoci conto della vergogna che si consuma ogni giorno nei ristoranti in cui andiamo a mangiare, nei quali guardiamo negli occhî i camerieri che magari trattiamo con sufficienza o con sgarbo.
Il settimo giorno il principale mi chiamò in disparte, parlammo del contratto. Decise di parlarmene a giornata finita, mezzanotte inoltrata, con solo sua moglie e suo figlio in ascolto. Ero stanco e nervoso, volevo andare a dormire, ma non potevo tirarmi indietro. Il contratto sarebbe stato part-time da 800 al mese per quattro ore al giorno, nessuna variazione. Allora gli chiesi:
“Perché vuoi fare un contratto da quattro ore, se lavoro per 12?”
“Perché se ti faccio il contratto part-time da 800 euro, poi lo Stato mi chiede 450 euro. Se ti faccio il full-time, me ne chiede 900”
“E questi 900 per che cosa sono?”
“Per la tua pensione, e non posso permettermelo. Io questo posso darti”
Rimasi spiazzato da tutto questo, che ignoravo completamente. Lí compresi perché i datori si trasformano in sfruttatori nel 99% dei casi. Anche io, nei panni di un principale, avrei qualche problema a spendere 1700 euro al mese per ogni mio dipendente. Certo, avendolo a San Vito il locale, farei parecchî piú soldi che a Marsala, e se non ne avessi abbastanza per nove dipendenti full-time, ne assumerei di meno pagandoli davvero full-time oppure rispetterei il part-time di quei nove. In ogni caso perderei soldi io per darli ai miei dipendenti, e di sicuro dal punto di vista di chi lavora è meglio che ne vengano assunti nove, anziché solo quattro, sebbene a condizioni peggiori. Per quelli che non verrebbero assunti sarebbe una disgrazia. Per me datore di lavoro è una buona posizione: ne prendo tanti e li pago poco, ho la botte piena e la moglie ubriaca. Gli proposi:
"Se è un problema di soldi, possiamo fare che anziché lavorare 12 ore per 800 euro ne lavoro 6 per 400. Che ne dici?"
Mi rispose con una frase tanto tragica quanto comica:
"400 al mese!? Ma no, sarebbe sfruttamento"
Alla fine la mia mezza giornata arrivò il nono giorno, mio padre mi venne a prendere cosí che potessi dormire a Marsala. Tornai nel mio letto, un vero letto, dopo sette giorni, ma sembrava passato un mese. La mattina dopo mi svegliai con la schiena distrutta, non potevo camminare per piú di un minuto filato, rimasi fra il letto e il divano, impossibilitato a fare niente. Colpa della mia scoliosi, ma non sarebbe stato un impedimento a fare la stagione: il vero problema era il sovraccarico di lavoro a cui fui sottoposto, a cui la mia reazione fisica fu solo piú evidente, ma per i miei colleghi, anche gente di mezza età con molti piú acciacchi di me, questo inferno è ancora in atto. Siamo ad agosto, il 15 deve ancora arrivare, la stagione sta straripando di turisti, non oso immaginare a quale fatica sono sottoposti in questo preciso momento, per una paga da fame, vittime di uno sfruttatore che come tutti gli altri va contro ogni legge etica e materiale.
La mia disavventura a San Vito Lo Capo si concluse quando vi tornai per farmi dare quello che mi spettava per aver lavorato. Ora vi invito a indovinare. Prendete le calcolatrici. Ho lavorato dall’11 di giugno fino al 19, per un totale di 103 ore, di cui 67 di straordinarî di cui 11 straordinarî notturni. Con una paga di 6,67 euro, senza il valore aggiunto degli straordinarî, una semplice moltiplicazione porta a 700 euro. Aggiungendo il valore degli straordinarî si raggiungerebbe un numero parecchio piú alto. Su, immaginate un numero. Secondo voi quanto ha pagato me e quanto avrà pagato i miei colleghi, in questi due mesi? Va bene, ve lo dico. Quando ci siamo visti, dopo aver parlato, fu molto semplice:
“Riccardo, tu hai lavorato nove giorni, per 27 euro al giorno, allora 9 per 27...
“No, dai, principale, era 26,67 e il primo giorno ho lavorato solo mezza giornata!”
“Non importa, lo conto come giorno intero. 9 per 27 risulta 243. Facciamo 240, va bene?”
Ebbene sono stato pagato 240 euro per aver lavorato piú di cento ore, sempre senza contare gli straordinarî. Ovviamente alla fine non feci il contratto, quindi per lo Stato io non ho lavorato né sono stato sfruttato. Concludo dicendo che la chiave dell’alloggio, quella di cui avrei avuto una copia per me, una misera chiave da un euro, dovetti pagarla io, ma quando terminai di lavorare con lui dovetti restituirgliela. Da questo piccolo dettaglio ebbi la certezza che il mio salario ridicolo non era il massimo che quello sfruttatore potesse dare a me e ai miei colleghi, ma che si trattava di un calcolo ben preciso.
Signori, questa è la realtà del lavoro in provincia di Trapani. Non vorrete credere che a Trapani o Marsala sia diverso, spero. In realtà è anche peggio: ci sono pizzerie dove pagano 25 euro chi lavora dal pomeriggio fino a tarda notte, completamente in nero, anche quindici ore al giorno, con pagamenti che non superano i due euro l’ora.
FINE