di Rossana Titone - La Tempesta perfetta, la inizio così la recensione del libro di Attilio Bolzoni “Il padrino dell’antimafia”, edito da Zolfo.
Invero è proprio un capitolo titolato così. Sono 300 pagine, la storia della politica moderna della nostra Sicilia che si intreccia con quella nazionale.
Misteri e oscurità, alcuni venuti fuori altri celati.
La scrittura è fluida, scorrevole, non appesantisce, scandisce il respiro di questa nostra terra.
Affanni, dolori, politica soffocata e connivente con il malaffare. Tutto è un circolo, un circuito dal quale non si esce e se si esce ci si ritorna. E’ la storia di Antonello Montante, il meccanico di Serradifalco, di molti silenzi che hanno finito per strillare più di mille campane. Importante e centrale il ruolo della stampa, di quella stampa che sa farsi strada, che sa fare inchiesta. Sembra la trama di un film, chissà magari qualche produttore vorrà realizzarla, invece è il racconto cauto e senza fronzoli di quella Sicilia che con la sua classe dirigente dominante ululava alla lotta alla mafia e si sporcava le mani con l’antimafia. Cristo e anticristo.
E’ la storia di un potere infetto, non è elegante scriverlo, ma solo un giornalista con le palle, come Bolzoni, ha potuto scrivere questo libro subendo pedinamenti, intercettazioni, minacce. Ha scavato con le sue mani, si è sporcato e si è pulito, ha restituito ai siciliani quel pezzo mancante di narrazione temporanea e attuale. Ed è un libro che è stato scritto senza filtri, senza indorare alcuna pillola.
Va letto da tutti per comprendere come quell’antimafia sia stata idolatrata anche da Libera, Tano Grasso, Don Ciotti.
Una catena di potere di cui Montante faceva parte, non l’unico. Bolzoni spiega il perché, dopo qualche giorno dall’arresto di Montate, sono arrivate delle lettere anonime: Hanno sacrificato Montante.
Chi lo ha fatto? Chi manovra e agita questa catena? Cosa c’era su quelle pen drive che sono andate distrutte?
Di ingenuo in politica non c’è nulla, di casuale nemmeno. Si intreccia l’antimafia di Montante, finito a capo di Confindustria non per meriti straordinari ma per buone conoscenze, con il potere forte e dominante della politica. Un confine che non è confine e che porta alle “Mafie incensurate”.