In tanti avevano scommesso che dopo l’arresto dei Lo Piccolo, il comando di Cosa nostra sarebbe passato a Matteo Messina Denaro.
Con buona pace dei suoi fans però il boss di Castelvetrano, non solo non è mai stato a capo della cupola, ma ha fatto fatica ad occuparsi anche della provincia di Trapani.
E forse, da qualche anno, stenta perfino a rappresentare il suo mandamento.
Va da sé che dopo la terribile parentesi corleonese, che tanti danni ha procurato a quella Cosa nostra palermitana fatta di capimafia con una storia criminale ed un’impronta ereditaria non indifferente, nessuno si sarebbe sognato di consegnare l’associazione nelle mani di un trapanese “allevato” da Totò Riina.
Certo, Messina Denaro in teoria continuerebbe ad essere al vertice di Cosa nostra in provincia e a Castelvetrano, dove conterebbe sulla fedeltà incondizionata di diverse famiglie.
Però non si capisce perché ad Alcamo, già prima del 2007, per dirimere una controversia tra boss non sia stato chiesto l’intervento di Matteo Messina Denaro, ma quello dei Lo Piccolo.
Un boss che ha ancora il suo peso si sarebbe occupato dei problemi della “sua provincia”, ma gli alcamesi lo hanno ignorato, rivolgendosi ai palermitani.
Da un po’, la percezione della sua presenza è diminuita anche a Castelvetrano, dove sono accadute delle cose che forse in passato non sarebbero mai accadute.
Nel 2014 rubarono nel negozio del cognato del boss, Saro Allegra. Un singolare furto di abiti, borse ed accessori per circa 30 mila euro.
L’isola che non c’è. Era questo il nome del locale dove i ladri penetrarono da una vecchia abitazione attigua disabitata, per poi allontanarsi in tutta tranquillità dopo aver caricato la merce su un mezzo.
Nel gennaio del 2016, il titolare di una panineria ambulante uccise con una fucilata un quarantenne pregiudicato che lo vessava da tempo chiedendo soldi e non pagando mai le consumazioni. Una giustizia fai da te, senza fare denuncia alle forze dell’ordine e soprattutto senza chiedere aiuto ad altri personaggi meno istituzionali.
Insomma, un controllo mafioso del territorio che fa acqua da tutte le parti.
E a dirlo, era stato addirittura Rosario Cacioppo, nelle intercettazioni dell’operazione Eden 2 del 2014, prima che venisse arrestato e condannato per mafia a 10 anni e 10 mesi.
Diceva che anche Gaspare Como non era contento di quello che stava succedendo: “Castelvetrano è diventato un paese che sono tutti ‘alla rotta’ (allo sbando n.d.r.), sparano pure ai cartelli… vanno facendo un mare di danno, quando è successo, gli abbiamo detto: ‘Picciotti… datevi una regolata, perché vedi che qua succedono cose brutte! Picciotti, finitela di fare danni!’.
Nel 2017 invece rubano nella casa di campagna di Francesco Guttadauro, “nipote prediletto” di Matteo Messina Denaro: infissi forzati, telai delle porte divelti, quadri e oggetti di valore spariti e via anche i cavi di rame del sistema elettrico.
Un furto denunciato ai carabinieri da Rosalia Messina Denaro, sorella del superboss, mentre un altro cognato del capomafia latitante, Gaspare Como, sguinzagliava i suoi uomini più fidati per beccare i responsabili.
Finirono per sospettare del tizio che si era occupato di un trasloco per conto della donna, almeno così dicono i magistrati. Non pensarono quindi a ladri sprovveduti, che magari avrebbero potuto non sapere di chi fosse la casa violata.
Quanto conta allora Matteo Messina Denaro dentro Cosa nostra?
E fino a che punto gli altri percepiscono la sua leadership come davvero incontrastata?
Quanti dei numerosi fiancheggiatori e dei parenti arrestati lo hanno visto nell’ultimo decennio?
La sorella Patrizia l’ha visto? Come avrebbe comunicato con lui nel 2013?
Nell’ambiente carcerario dove era ristretto il marito Vincenzo Panicola, in molti temevano il possibile “pentimento” di Giuseppe Grigoli (l’ex re dei supermercati, condannato per mafia) e Panicola chiese alla moglie che veniva a trovarlo di accertare se ad autorizzarlo a fare certe dichiarazioni fosse stato davvero il boss. Diversamente, c’era già pronto un gruppo di detenuti che gli avrebbe dato una lezione.
La richiesta è del 24 aprile 2013. E la risposta arriva il 3 maggio successivo:
“Che nessuno lo tocchi! Lasciatelo stare” dice Patrizia Messina Denaro al marito, disconfermando però che le dichiarazioni del Grigoli fossero state autorizzate dal boss.
E poi aggiunge: “Ha detto … digli ad Enzo che si mette con lui (nella stessa cella, ndr) […] Gli ho detto: ‘Senti qua, con tutta la buona volontà, … non esagerare’”.
E’ incredibile come la risposta sia arrivata in meno di dieci giorni.
“Ha detto…”, “gli ho detto..”, “Senti qua…” fanno parte di un dialogo tra Patrizia e Matteo Messina Denaro, incompatibile con i lunghi e complicati percorsi dei pizzini.
Ha davvero comunicato col fratello latitante?
Certo, dal 24 aprile al 3 maggio del 2013 l’attenzione delle forze dell’ordine, con pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, sarà stata massima.
Ma niente da fare, la voce di Matteo Messina Denaro non è stata registrata. La sorella Patrizia è in carcere, lui ancora latitante.
E da una relazione della Dia del 2018, il ruolo di Matteo Messina Denaro sarebbe più formale che sostanziale.
Secondo il questore di Palermo Renato Cortese, Messina Denaro non avrebbe più alcun ruolo nell’organizzazione e gli affiliati non renderebbero più conto a lui.
Anche per il generale Giuseppe Governale ex comandante del ROS e oggi direttore della Dia, il boss di Castelvetrano pur restando a capo della cosca trapanese non sarebbe più operativo da tempo. Mentre il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, competente anche per il distretto di Trapani, ha escluso la possibilità che Messina Denaro possa influire sulle dinamiche della mafia palermitana.
Insomma il boss non è più quello di una volta.
Perfino Totò Riina, aveva cambiato opinione su di lui nel 2014:
“A me dispiace dirlo, questo... questo signor Messina che fa il latitante, che fa questi pali eolici, i pali della luce… se la potrebbe mettere nel culo la luce ci farebbe più figura, se la mettesse nel culo la luce e se lo illuminasse, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi ma non si interessa...”.
E oggi? E’ ancora vivo, anche se inattivo? Oppure qualcuno ne sta spendendo il nome, per il mantenimento di diversi equilibri?
Perché questa latitanza così prolungata?
Attilio Bolzoni non ha torto quando dice che chi è latitante da più di 20 anni, non è più un mafioso. E’ un capo di Stato.
Egidio Morici