C'è qualcosa di grave, qualcosa che non va, veramente grave, in un Paese, se il Ministro dell'Istruzione si dimette, e non per ragioni politiche o per il crocefisso nelle classi, nè per il presepe a scuola o per l'ora di diritto in più. Ma lo fa per i soldi, dicendo, bene o male: ci manca anche lo stretto indispensabile, con questi stanziamenti qui. E' come un pugile che rinuncia a combattere, e dichiara da sè il ko tecnico, si arrende.
E' quello che è accaduto in Italia, il giorno di Natale, con le dimissioni del Ministro Fioramonti. La maggior parte dei commenti, in queste ore, sono dedicate agli equilibri della maggioranza, al toto nomi per il successore. Ma in realtà dovremmo approfittare dello schock per dedicarci ad un'altra riflessione: qual è lo stato di salute della scuola italiana se un Ministro addirittura decide di dimettersi per mancanza di risorse?
Si spende una miseria per la scuola e l'università in Italia. Siamo agli ultimi posti in Europa, e negli anni la spesa è sempre diminuita. Investiamo in istruzione quattro volte meno di quello che investiamo per le pensioni. Il nostro è un paese per vecchi. Solo per vecchi.
Frequento molto le scuole, tengo corsi, partecipo a tanti progetti. E ormai ho un'immagine molto chiara, dello stato della scuola, oggi. Ed è questa: un quadro disastroso, sotto ogni punto di vista. Mille buone intenzioni, tutte che si infrangono contro la risposta: non ci sono risorse. E allora, il peso è sulle spalle di pochi volenterosi insegnanti, presidi, responsabili amministrativi (uso il maschile, ma in realtà si tratta per la maggior parte di donne: il peso della scuola italiana è retto sulle spalle di un piccolo esercito di valorose donne ...) che con coraggio e responsabilità cercano di mandare avanti la baracca. Di tenere in piedi il pugile prima che svenga per i colpi subiti.
C'è un grafico che spiega bene quanto siamo competitivi. E' questo.
Investire sulla scuola non significa mettere qua e là un computer in classe, o pubblicare decine di bandi per i progetti Pon (che ormai si sono sostituiti in molte scuole ai finanziamenti ordinari per i bisogni più diversi). Significa garantire a tutti il tempo pieno, oggetto misterioso, ormai, solo nel Sud Italia, investire negli asili nido pubblici per fare lavorare in serenità i genitori (e dunque creare ricchezza), investire nelle biblioteche pubbliche (che vivono ormai solo di donazioni private), nei progetti di ricerca per le scuole come per le università.
Volete risparmiare? C'è un tesoro nascosto. Altro che tre miliardi di euro. Sono tutti gli affitti che gli enti pubblici pagano in giro per l'Italia per le scuole. Con privati che spesso si arricchiscono grazie ad edifici non a norma, che da decenni ospitano scuole, a caro prezzo per le nostre casse e fuori dalle normali condizioni di sicurezza e fruibilità degli spazi. Noi abbiamo qui un piccolo punto di osservazione, periferico ma significativo, che è la provincia di Trapani. Da noi si è preferito, negli anni, con ostinazione, continuare a pagare affitti ai soliti privati (nomi noti, nel panorama provinciale) anziché costruire nuove scuole, moderne ed efficenti. Se avessimo costruito nuove scuole, avremmo messo in campo energie per l'edilizia (un settore al collasso), creato campus di ultima generazione, e nel tempo risparmiato tantissimo. Invece, abbiamo speso, speso, speso, per affitti. Poi i soldi sono finiti. E siamo rimasti senza scuole e senza soldi. In provincia di Trapani, poi, questa vicenda ha assunto un ripiego particolare: perché poi il Commissario di quello che oggi si chiama Libero Consorzio, con una specie di bando, ha deciso di comprare gli stessi immobili per i quali ha pagato l'affitto per anni. Oltre il danno, insomma, la beffa.
Un Paese che non investe sulla scuola, un Paese che non capisce che oggi paghiamo il prezzo di un modello di istruzione che nel tempo abbiamo demolito, che Paese è? E' lo stesso Paese che guarda agli immigrati come un problema, non come un risorsa, che si prepara lentamente allo spopolamento totale (cosa che in gran parte del Sud è già realtà).
Giacomo Di Girolamo