I racconti della natività li troviamo solo nel Vangelo di Matteo e nel Vangelo di Luca. Suppongo che tutti amiamo questi racconti, ma dobbiamo anche domandarci cosa vogliono dirci? Certamente non vogliono documentare un fatto storico né tramandarci un fantasioso certificato di nascita, ma trasmetterci che in Gesù è possibile cambiare la storia, la società e l’uomo stesso migliorando noi e con noi migliorare l’umanità.
Utopia?... o fede?
Il Vangelo non è un libro di storia ma un libro di fede che raccoglie verità profonde! Leggendo quindi i racconti della natività nei Vangeli dobbiamo saper andare oltre il racconto.
Gli autori biblici scrivono del dramma di un uomo come tanti, Giuseppe, la cui promessa sposa, Maria, è incinta di un altro e non si sa da chi: lo Spirito Santo?... E basta un sogno per convincerlo? Avremmo optato anche noi per la rottura del fidanzamento come prescriveva la legge? ma lasciando nei guai Maria? O avremmo optato per l’aborto? Giuseppe però agisce per fede: accoglie nel suo cuore il segreto del Messia… L’angelo gli parla in sogno, ma sogno o non sogno… è Giuseppe che decide!
E quando Giuseppe e Maria si sono trovati in difficoltà e noi fossimo stati i locandieri di Betlemme… come avremmo agito? Un bambino che nasce in un mondo che lo rifiuta a cosa ci fa pensare? Oggi… non duemila anni fa!
E che dire dei bambini di Betlemme fatti trucidare da Erode? In questo racconto, storicamente mai avvenuto, dobbiamo leggervi la morte di tanti coraggiosi innocenti perseguitati per la pace e la giustizia, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani che subiscono una morte tragica come quella che subì Gesù sulla croce.
I racconti della natività parlano agli uomini e parlano degli uomini… e offrono loro il dono di Dio per fare luce sull’umanità intera.
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Abbiamo mai considerato che il Natale è l'unica festa ad essere veramente planetaria. Anche se ci infastidisce, si festeggia il Natale in tutto il mondo e lo festeggia anche chi non è cristiano e chi non è credente gioendo della gioia dei suoi bambini… il futuro: il futuro dell’umanità!
Nei primi quattro secoli dalla nascita del cristianesimo, i cristiani celeravano solo la resurrezione di Gesù e la celebravano ogni primo giorno della settimana: il giorno dedicato al sole, il dies solis, Sontag, Sunday, che con la decisione dell'imperatore Costantino diventerà nel IV secolo “il giorno del Signore”, dies Domini (domenica), il giorno di Cristo.
Volendo dirigere verso di Lui, vera luce della vita, la propria esistenza, i cristiani già dai primi secoli, avevano l’usanza di pregare orientati verso est, da dove sorge il sole, usanza che continua ancora oggi nella tradizione delle chiese ortodosse. È per questo motivo che tutte le cattedrali medievali e ancora oggi le chiese ortodosse sono orientate verso Est, come i templi greci e romani e perfino i templi indù e le pagode buddiste.
Il Natale cominciò ad essere celebrato nel IV-V secolo, ma non era solo la festa della nascita di Gesù, il Messia. In realtà, man mano che il cristianesimo si espandeva, questa celebrazione si sovrapponeva ad antiche feste popolari in cui tutti potevano riconoscersi nelle varie parti del mondo, come accade anche oggi. È la festa di un evento astronomico che tutti i popoli hanno festeggiato fin dall’antichità: il solstizio d’inverno in cui i giorni iniziano ad allungarsi e il sole vince la sua battaglia sulle tenebre e sul gelo e apre alla speranza della primavera che certamente verrà!
Questo evento cosmico fu colto come una grande parabola, il simbolo semplice ed efficace del dono della luce di Dio all’umanità attraverso Cristo!
Il profeta Isaia scriveva “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Isaia 9,1).
Ecco la grande parabola della luce che vince sulle tenebre.
Ecco il cuore del messaggio cristiano!
La festa cristiana per eccellenza era e rimane la Resurrezione del Cristo. Gli antichi, però, chiamavano “i giorni del sole morto” i tre giorni che vanno dal 22 al 25 dicembre in cui il sole smette di muoversi verso Sud e dopo tre giorni ricomincia a muoversi verso Nord allungando la luce del giorno, dando più luce e più calore. In questo tre giorni si vedeva il passaggio dalla morte alla resurrezione del Cristo.
Fu così che, dato che la festa pagana del "Natale del Sole" continuava ad essere festeggiato anche da tanti cristiani, i vescovi cercarono di sovrapporvi il “Natale del Cristo”, festeggiandolo il 6 gennaio in Oriente, secondo il calendario giuliano e il 25 dicembre a Roma secondo il calendario gregoriano.
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Al solstizio (che vuol dire “sole fermo”), di cui noi oggi sappiamo tutto, l'umanità antica sentiva in pericolo l’esistenza. Pertanto, quando il Sole riprendeva nuovamente la sua fase ascendente l'evento era motivo di grande gioia. Finalmente tornava la speranza di vita: il sole aveva vinto le tenebre.
Nell’antichità il Sole era venerato da tutti e non è un caso che molti popoli, tra il 25 dicembre e il 6 gennaio, data del solstizio secondo il computo egizio adottato dal calendario giuliano, celebrassero la nascita di un dio solare. Il dio Horus è nato il 25 dicembre dalla vergine Isis-Meri, secondo un antico mito egizio. Mitra della Persia è nato anch’egli da una vergine il 25 dicembre in una grotta. Anche il dio Krishna dell’India è nato da una vergine sempre il 25 dicembre in una grotta. Lo stesso per il dio Attis della Frigia, come Dionisio nati nella stessa data e da una vergine. Di Dionisio lo scrittore latino Macrobio scrive che “con le fattezze di un bambino nel solstizio d'inverno lo si faceva nascere come un bambinello e lo tirano fuori da una buia grotta in quel giorno che è il più corto di tutti”.
Tutte le divinità solari dei vari popoli sono tutte nate al solstizio d’inverno la notte tra il 24 il 25 dicembre e tutte nascono da una vergine: Tammuz in Mesopotamia; le divinità solari degli aztechi e dei maya; Bacab nello Yucatan; Alcide, Apollo, Ercole e Zeus in Grecia, Marduk e Adad in Assiria, Zulis, Osiride e Iside in Egitto, Adone in Siria, Odino, Balder e Frey in Scandinavia, Bali in Afghanistan, Jao in Nepal, Xamolxis in Tracia, Beddru in Giappone, Issione e Quirino a Roma, Prometeo nel Caucaso, Indra in India, Deva Tat in Siam, Thor in Gallia, Ischy nel’Isola di Formosa, Fohi e Tien in Cina.
Il Natale è la festa del sole che vince sulle tenebre: “lux lucet in tenebris” come si legge nel Vangelo di Giovanni.
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L’abitudine di decorare alcuni alberi sempreverdi era diffusa già tra iCeltidurante le celebrazioni relative al solstizio. Anche il vischio, associato al solstizio d’inverno, era la pianta più sacra per i druidi.
IVichinghidell'estremo Nord dell'Europa, dove il sole “spariva” per settimane nel pieno dell'inverno, credevano che l'abete rosso,chenon perdeva le foglie nemmeno nei geli dell'inverno, avesse il potere di far ritornare il sole. Nelle settimane precedenti il solstizio venivano tagliati alberi di abete e portati a casa e decorati con frutti, ricordando la fertilità che la primavera avrebbe ridato agli alberi.
Anche l’usanza di scambiarsi doni a Natale ha origini molto antiche. Nell’antica Roma le persone si scambiavano il primo giorno dell’anno come augurio di prosperità e di abbondanza un ramoscello d’alloro o di ulivo colto nel bosco sacro della dea Strenia (da cui la parola “strenna”). Per capire la storia deiregali di Nataleoccorre riferirsi al primo Santa Claus realmente esistito, a san Nicola vescovo di Myra, in Turchia, che era solito fare regali a sorpresa ai poveri, nascondendoli nelle scarpe che loro gli lasciavano davanti alla porta.
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Tutto questo richiamo a tradizioni natalizie sorte al di fuori del cristianesimo e che con Gesù non avrebbero nulla a che fare non ci deve sconvolgere né infastidire.
L’umanità adulta di oggi sa riconoscere che le date del solstizio sono date simbolo di tutte le religioni e di tutte le culture antiche e moderne. Quindi anche del cristianesimo, perché sono festività gioiose della storia dell’umanità alla quale noi tutti apparteniamo.
Importante è saper distinguere tra tradizione e fede. Sono l’una compenetrata nell’altra, ma l’una non è l’altra. È come l’amore e il matrimonio: l’uno può vivere senza l’altro, ma si completano in armonia e l’uno diventa la custodia dell’altro.
I cristiani non siamo un’umanità a parte. Parliamo lo stesso linguaggio in lingue e culture diverse. Per i cristiani Gesù è Colui che fa rinascere a nuova vita, che illumina l’esistenza, come insegna il Vangelo. Affermarlo con le parole, con la teologia o con un mito cosa cambia? Ciò che conta è la verità, è il contenuto... è la fede!
Oggi certamente non possiamo dire che il Natale sia solo una festa cristiana. Il mondo se e è riappropriato, ma dato che tutti, in un modo o nell’altro celebrano il Natale, o prima o dopo dovranno porsi la domanda chi è questo Gesù, perché questa festa si chiama Christmass (la messa di Cristo), che non è un personaggio immaginario come Santa Claus, come Babbo Natale.
Per coloro, però, che ritengono che Gesù non è mai esistito e che questo personaggio è un'invenzione, anche se questa posizione è difficilmente sostenibile, dirò che non importa: a condizione che, in questo caso, il personaggio definito dai non credenti “immaginario” corrisponda chi ha fatto della propria vita un dono per gli altri e corrisponda al modello di una pienezza di umanità e di una visione di Dio vicino all’umanità.
Fintanto che questo messaggio ci invita a dare la nostra vita piuttosto che a prendere quella degli altri, a dirigere l’umanità nella direzione dell’amore e della solidarietà, allora una debole luce continuerà a rischiarare le tenebre e la presenza del Cristo, il Messia, si farà sempre più chiara e più presente in ogni essere umano!
Ma questo personaggio cosiddetto “immaginario” avrebbe potuto essere immaginato se Gesù non fosse mai esistito?
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Gesù alla sua nascita fu posto in una mangiatoia: culla curiosa per un Messia. Quando Gesù morì, fu adagiato sul legno di una croce: posto indegno per il Messia, non vi pare?
Domandiamoci allora come mai il Messia è nato così male e muore come un criminale? Chi desidererebbe che un essere umano nascesse così e morisse così? Questa è la domanda che ogni anni il Natale pone ad ogni essere umano che lo celebra anche al di fuori del cristianesimo!
La nascita di Gesù ha messo davanti all’umanità la possibilità di lasciare che il bambino di pace e di amore fragile e vulnerabile che è in noi crescesse in ogni essere umano e diventasse capace di accogliere l’amore di Dio prima di amarlo a sua volta? Diventare capaci di perdonare sulla base di una giustizia “altra” centrata sulla misericordia come fu data sulla croce al ladrone che Gesù accolse in Paradiso senza porre condizioni?
Questa è la storia del Natale, che parla più degli uomini che di Dio! Per questo il Natale affascina e coinvolge anche chi non crede o chi non è cristiano?
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Può esserci luce e vita per l’umanità abbrutita dalla guerra e per quanti siamo impauriti dalla malattia?
Quando il profeta Isaia paragona il messia al suo popolo martoriato, parla di una persona che «non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi». Le prime comunità cristiane riferirono al Cristo martoriato dalla passione e dalla croce, questi versi del profeta, ma aprendoli alla resurrezione, verso la speranza della luce e della vita che le tenebre non possono vincere.
Nella storia del Cristo, come nella storia di ognuno di noi e dell’intera umanità, ci sono situazioni in cui non si riesce ad intravedere la luce e dove sembra che il male vi regnino sovrani. Vi sono piccole situazioni personali, ma vi sono anche situazioni della grande storia dell’umanità, in cui il buio sembra totale.
Nella nostra impossibilità, Dio dona la luce del Cristo: il Messia, il Figlio di Dio!
Nella sua atmosfera, sotto l’albero, sotto il presepe, sotto i regali e sotto le luci e la gioia della convivialità è racchiuso un messaggio d’amore per una nuova umanità in cui ognuno possa diventare dono per l’altro, con la visione in cui l’umanità raggiungerà il giorno in cui, come scrive il profeta Isaia, “Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà” (Isaia 11,6). È la promessa di un’umanità che non lascerà più che un bambino nasca in una stalla né che muoiano degli innocenti e che saprà aprire le proprie porte.
Il Natale, in modo discreto, apre questa visione nel cuore di ogni essere umano e noi cristiani, che ci definiamo discepoli e discepole di Cristo, siamo chiamati fare nostra e a vivere in prima persona questa visione!
Amen.
Pastore Giuseppe La Torre