Grande manifestazione ieri a Palermo dei lavoratori dei call center in Sicilia contro la drammatica crisi del settore, con centinaia di licenziamenti negli ultimi mesi.
Protestano a Palermo gli addetti delle aziende di outsourcing per lo sciopero regionale dei call-center, indetto dalle segreterie regionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl Tlc, per chiedere «norme più stringenti per la regolamentazione del settore, il rispetto delle tariffe e contro le delocalizzazioni selvagge».
A colpi di fischietto e scandendo slogan come «il lavoro non si tocca», al concentramento in piazza Croci hanno partecipato alcune centinaia di operatori delle principali aziende che operano nell’Isola: tra queste Almaviva, Abramo, Exprivia e Comdata.
Ad aprire il corteo, che si snoda lungo la via Libertà diretto in Prefettura, numerosi cartelli e striscioni con le scritte «regole certe per i lavoratori, dignità per chi lavora», «più lavoro più diritti», «Sky accende la tecnologia e spegne i lavoratori», che sintetizzano il malessere di un comparto vicino al collasso.
«Chiediamo delle politiche certe contro le delocalizzazioni. Il lavoro c'è ma il problema è che va all'estero. Il lavoro deve tornare in Italia. A Palermo nessuno può permettersi di perdere il proprio posto di lavoro», dice nell'intervista Pietro Romano RSU Uilcom Almaviva Palermo.
«Una terra come la Sicilia non si può permettere di perdere nel giro di pochi mesi 20 mila lavoratori, impiegati nei call center», sottolinea Emiliano Cammarata RSU AlmavivA Slc-Cgil.
Al corteo, grande la preoccupazione dei lavoratori del call center Abramo, che a Palermo sono in totale 450 operatori, di cui 190 a tempo indeterminato e il resto contratti atipici, Lap, co.co.co. “Proprio ieri, la nostra azienda ci ha convocato per comunicarci che Tim ha ridotto del 70% il traffico – dice Francesco Brugnone, Rsu Slc di Abramo –. Da quasi 180.000 chiamate al mese siamo passati a 43.000. Già hanno dichiarato almeno 150 esuberi. Ci dobbiamo rendere conto che questa è una vertenza di tutto il settore, non di una singola azienda. Ormai tutti i committenti fanno il bello e il cattivo tempo. Decidono di chiudere i rubinetti, spostano le chiamate da un centro all'altro e affossano le speranze di tutti noi. Non è più il lavoro di un tempo, in cui il ragazzetto veniva al call center per sostenere le spese universitarie. Oggi c'è gente che manda avanti la famiglia, che ha creato un nucleo parentale con il lavoro dei call center. Ma il governo è assente, non capisce che non è più un comparto di ragazzini, ma di gente che lavora. Noi non siamo gente di serie B, ma lavoratori come tutti gli altri: rivendichiamo i nostri diritti e pretendiamo dal governo che intervenga sui committenti per difenderci: finché non ci saranno regole certe nel settore, non sappiamo cosa ci aspetta domani”.