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19/02/2020 07:15:00

Il marito ucciso con Falcone a Capaci. Il fratello arrestato per mafia

 “Vi perdono ma inginocchiatevi”». Le parole di Rosaria Costa, la vedova di Vito Schifani, uno degli agenti di scorta di Giovanni Falcone, commossero tutta Italia ai funerali per la strage di Capaci che lasciò sull'asfalto il marito, il giudice e sua moglie Francesca Morvillo e i poliziotti Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Ora il nome del fratello della vedova di mafia, Giuseppe Costa, figura tra le otto persone arrestate ieri dalla Dia di Palermo. Secondo il gip del Tribunale, che ha firmato la misura cautelare Costa, ufficialmente imbianchino disoccupato di 58 anni, avrebbe «fatto parte della famiglia mafiosa di Vergine Maria, mantenendo rapporti con esponenti mafiosi di altre famiglie» e avrebbe organizzato e coordinato attività estorsive nei confronti di imprenditori e commercianti della zona.

Rosaria nel 1995 ha lasciato la Sicilia con il figlio, che oggi è capitano della Gdf e si è sposata con un militare.

Giuseppe Costa è accusato di associazione mafiosa: sarebbe affiliato alla famiglia di Vergine Maria. Per conto della cosca avrebbe tenuto la cassa, gestito le estorsioni, "convinto" con minacce le vittime - imprenditori e commercianti - a pagare la "tassa" mafiosa, assicurato alle famiglie dei mafiosi detenuti il sostentamento. Ristoranti, negozi, concessionarie di auto, imprese: nel quartiere pagavano tutti e Costa sarebbe stato tra i collettori del pizzo. Gli inquirenti lo descrivono come pienamente inserito nelle dinamiche mafiose della "famiglia", tanto che, alla scarcerazione del boss della zona, Gaetano Scotto, per rispetto al padrino invita le sue vittime a dare il denaro direttamente a lui.

L'indagine fotografa anche il ruolo di vertice che Scotto aveva riconquistato nel clan. Già accusato di mafia, il boss è ora parte civile nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Accusato ingiustamente da falsi pentiti fu condannato all'ergastolo e poi scarcerato. Oggi siede come vittima davanti ai tre poliziotti accusati di aver depistato l'indagine. Nel blitz di oggi è stato coinvolto anche il fratello Pietro, tecnico di una società di telefonia, anche lui accusato nell'inchiesta sull'uccisione di Paolo Borsellino. Per la polizia aveva captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D'Amelio davanti alla quale fu piazzata l'autobomba. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello.