"Io e il collega Saieva facemmo una relazione in cui scrivevamo che man mano che si facevano gli interrogatori c'era la prova regina, inconfutabile, che Scarantino stava dicendo sciocchezze e quindi si doveva correre subito ai ripari per evitare cose che nel tempo avrebbero pregiudicato le indagini".
L'ha detto l'ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini al processo sul depistaggio nella strage di via D'Amelio parlando del falso pentito Vincenzo Scarantino che accusò una serie di persone condannate ingiustamente.
"Gli altri colleghi - ha aggiunto - erano propensi a dire da subito 'bene, Scarantino sta collaborando'. Per me c'erano delle perplessità. Tant'è che dissi di concentrare gli interrogatori ad agosto e che non sarei andata in ferie. La risposta di Tinebra fu: 'Ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie', tant'è che tornai a settembre. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi".
L’ex procuratore aggiunto di Milano ha ripercorso le fasi cruciali delle indagini, ha richiamato le ombre sulla gestione di Scarantino e ribadito i dubbi che con il collega Roberto Sajeva aveva messo perfino per iscritto. Ma della relazione non si trovarono più tracce. “Io però – ha aggiunto – ne avevo diverse copie” che furono inviate a Palermo dopo un colloquio con l’ex procuratore Giancarlo Caselli. Nella relazione Boccassini e Sajeva mettevano in rilievo le loro riserve e ponevano l’esigenza di “correre subito ai ripari”. Ma non per questo cambiarono i metodi di lavoro della Procura allora diretta da Giovanni Tinebra che, ha ricordato Boccassini, incontrava Scarantino da solo per un certo lasso di tempo e poi apriva la porta del suo ufficio per il vero e proprio interrogatorio. Tra lei e il capo della Procura sul falso pentito c’erano “visioni completamente diverse”.
Pur essendo convinta che Scarantino non fosse credibile, espresse comunque a Tinebra la disponibilità a rimandare le ferie. Ma Tinebra le rispose che si era “sacrificata tanto” e ora poteva andarsene in vacanza. “Non mi volevano”, ha osservato l’ex magistrato. “Essere tenuta fuori dai giochi – ha detto – era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi” (Capaci e via d’Amelio). Tutto questo accadeva per tenere in piedi un depistaggio? Boccassini non lo hai creduto.
Bastavano i contenuti degli interrogatori: “Più Scarantino parlava più ci si rendeva conto che era un poveraccio. Se fosse stato imboccato da qualcuno sarebbe stato sicuramente uno alle prime armi. A me e Sajeva non è mai venuto il sospetto che ci fosse stato un depistaggio”.