E’ uno dei simboli della lotta alla mafia in provincia di Trapani, Giovanni Burgarella.
Ex sindacalista della Cgil, Burgarella ha toccato con mano cos’è la mafia e la cultura mafiosa. I suoi sono racconti di una persona che ha detto no a cosa nostra nel concreto, opponendosi agli atteggiamenti mafiosi, mettendo davanti a tutto, davanti alla paura, la propria dignità. Ne ha pagato il prezzo, Burgarella, nella sua vita, in molte circostanze, ma va fiero, a testa alta. Ed oggi è uno dei personaggi più interessanti da ascoltare quando si parla di cosa nostra.
Come giorni fa, nel corso del convegno “La Cultura strumento di lotta contro la mafia” organizzato dalla Associazione Antiracket e Antiusura Trapani che si è tenuto presso l’Aula Magna del Polo Universitario
“E’ di 7 anni fa l’ultimo regalo che mi ha fatto la mafia, quando mio fratello, tre anni meno di me, si è tolto la vita, perché era mio fratello e non ha più potuto trovare lavoro. Addirittura l’aveva trovato ma, l’ho saputo qualche giorno fa, hanno costretto l’imprenditore che aveva preso il documento per assumerlo a non farlo più lavorare”. Un inizio forte quello dello “storico” sindacalista della Cgil trapanese che ha raccontato nei particolari il sequestro subito nel 1980, le minacce alla famiglia, la scelta di denunciare i suoi aguzzini, il successivo attentato alla sua persona in cantiere camuffato da incidente, la lotta come sindacalista al lavoro nero, l’incendio della macchina, la vita sotto scorta.
“La lotta alla mafia si può fare in tanti modi. Io l’ho fatto denunciando i fatti, le cose che sapevo”.
Burgarella nasce come muratore, comincia a lavorare da giovanissimo dopo la morte del padre. “Sentivo parlare di mafia, ma non avevo mai incontrato mafiosi”. Ma negli anni ne avrà a che fare. Conoscerà la mafia degli appalti, quelli che venivano dati alle imprese collegate ai boss. Quegli appalti che andavano avanti con le perizie di variante e i cui prezzi si gonfiavano per consentire di pagare le “quote” a politici e mafiosi.
“Mafiosi e politici pretendevano dagli imprenditori le assunzioni dentro il cantiere, a volte volevano anche il capocantiere. Mommo u nano a Paceco accontentava un po’ tutti, lo faceva per creare consenso sociale, così la gente poteva dire che era gente brava.
Toto Minore, era come un ufficio collocamento”, racconta Burgarella.
Racconta di quando prende la qualifica di carpentiere in ferro specializzato, che gli consente di lavorare anche dove la mafia non lo voleva.
Ricorda il suo primo sciopero. ”La squadra doveva andare al cantiere con i pulmini, ma i mafiosi ogni volta li prendevano per gli affari loro e noi operai eravamo costretti ad andare ammassati in un camion. Una volta un collega è caduto e si è lussato una spalla, è stato fortunato che non è finito sotto le ruote. Così ho cominciato lo sciopero: se fosse venuto il pulmino andavamo al cantiere, altrimenti niente. E’ stato un gran danno all’azienda e alla mafia”.
Le conseguenze sono pericolose, Burgarella viene sequestrato. ” I mafiosi vengono a casa mia e mi portano via. Mi dicono che mi dovevo licenziare, e mi davano un anno di stipendio, per non dare più fastidi. Io rifiuto, allora cominciano a picchiarmi e a minacciare di fare del male ai miei familiari. Ho avuto paura. Mi sequestrano, dico che avrei firmato le dimissioni. Arrivo a casa e trovo i carabinieri e i compagni di partito. Cambia la mia vita, non ho accettato il ricatto della mafia. Io quella mattina sono andato a lavorare. Dopo 15 giorni in cantiere tentano di farmi fuori cercando di mettermi sotto con una betoniera. Allora mi licenzio. Qualche tempo dopo mi propongono di andare a lavorare al sindacato. Accetto la sfida, nel 99 divento segretario generale della Fillea Cgil di Trapani”.
Burgarella non si vergogna e ci tiene a ricordare che ha la quinta elementare, che non ha avuto una eccellente istruzione. Ma ha la schiena dritta, sa molte cose, le gestisce con coraggio e dignità.
Quando diventa segretario della Fillea Cgil in provincia di Trapani, il sindacato dei lavoratori edili, fa una cosa molto semplice. Fa una sorta di schema con tutte le imprese mafiose, cosa fanno, quelle che sfruttano il lavoro nero. E denuncia tutti i fatti di cui è a conoscenza.
Cominciano le minacce, le intimidazioni, gli bruciano la macchina. Burgarella rischia molto, è costretto a vivere nove mesi sotto scorta e due mesi lontano da Trapani. “Una volta il Questore di Trapani mi chiamò e mi disse che non dovevo uscire di casa per qualche giorno. Erano i giorni di Pasqua. Sono stato sequestrato a casa. Lì scrissi la lettera in cui rinunciavo alla scorta”.
Burgarella ammette che in tutti questi anni ha avuto paura ma aggiunge che “dobbiamo denunciare, dobbiamo fare il nostro dovere, essere vicini alle istituzioni ma dobbiamo pretendere dalle istituzioni anche più impegno, maggiore controllo e presenza nel territorio”.