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20/04/2020 06:00:00

Il coronavirus e la Casa di Riposo di Castelvetrano

 In tempi di coronavirus, la casa di riposo comunale di Castelvetrano non è messa tanto bene.

Non ci sono dispositivi di protezione per il personale, non sono stati sanificati gli ambienti e, dall’inizio dell’emergenza, le visite da parte dei parenti non hanno mai subito modifiche.

Il motivo è semplice: non ci sono più anziani.

Ma non ce ne sono più già da marzo dell’anno scorso, quando il covid-19 non ce l’avevano nemmeno i pipistrelli.

E di tutti i lavoratori fissi e trimestrali che c’erano, è rimasta soltanto un’infermiera: la signora Rosa Filardo, moglie del pentito Lorenzo Cimarosa, morto nel 2017.

Non avendo ancora raggiunto l’età pensionabile e senza aver avuto la possibilità di essere trasferita altrove, la signora Filardo è praticamente rimasta isolata. Un isolamento simile a quello subito dalla sua famiglia da parte della maggioranza dei castelvetranesi, dopo che il marito aveva cominciato a collaborare con la giustizia.

Un isolamento pericoloso.

Sì, perché la casa di riposo non si è svuotata completamente. Ci abitano ancora due alcolisti pregiudicati, che il comune ha infilato lì dentro perché senza dimora. Una scelta “temporanea” presa nel 2016 che, nonostante diversi provvedimenti di sgombero, oggi sembra essere definitiva.

 

Senza stipendio da più di dieci anni, proprio come il resto del personale di ruolo, la signora Filardo si è ritrovata quindi da sola, in una casa di riposo dove al posto degli anziani c’erano due balordi che uscivano la mattina e tornavano ubriachi la sera.

Ancora prima dell’emergenza coronavirus – ci racconta al telefono - sono stata invitata dal commissario straordinario della struttura a timbrare l’orario di servizio e a mettermi in macchina, senza sostare nell’istituto. Si tratta di persone per niente affidabili. Da quando c’è l’emergenza coronavirus, invece, mi è stato detto di non andare completamente.”

Tutti i lavoratori della casa di riposo sono stati abbandonati – aggiunge - la Regione siciliana non ci pagava da troppi anni. Non si poteva continuare così, soprattutto quando il nostro servizio è destinato alle persone più deboli. Ecco perché abbiamo fatto in modo che le famiglie degli ospiti potessero trovare delle alternative più serie per i loro parenti. D’altronde, nell’ultimo periodo erano rimasti soltanto 5 anziani. Io sono rimasta l’unica dipendente di ruolo. Ufficialmente sarei in servizio, ma non prendo lo stipendio da più di 10 anni. E non sono nelle condizioni di poter accedere ad alcuna forma di reddito di emergenza”.

La cosa singolare è che anche gli altri dipendenti di ruolo, ormai in pensione oppure trasferiti, avanzano stipendi arretrati dell’ordine di 50/60 mila euro ciascuno. Nel corso degli anni, se si esclude un “acconto” di circa 10 mila euro dato quattro anni fa grazie ad un decreto ingiuntivo e poche centinaia di euro nell’ultimo periodo, la Regione siciliana non ha mai pagato.

 

Oggi l’intera struttura è in mano a due balordi. Chi sono?

Di loro ci eravamo occupati nel 2016 (ne avevamo scritto QUI e QUI), quando avevamo raccontato di un loro litigio in piazza Matteotti, finito con una coltellata e con gli arresti domiciliari di uno dei due. E siccome Antonino Telari abitava in casa di riposo, trascorse lì la sua reclusione, nella stessa struttura dove (una volta dimesso dall’ospedale, dopo la ferita all’addome) ritornò anche l’accoltellato.

Dopo il processo però Telari fu assolto.

Il fendente all’addome, secondo il Tribunale di Marsala, fu legittima difesa, perché quell’altro stava per colpirlo con una martellata. Alla fine gli diedero soltanto sei mesi di reclusione per porto illegale di arma da taglio.

I due però furono protagonisti di altre “avventure” anche all’interno della casa di riposo, come quando chiusero a chiave dentro una stanza il personale di servizio. Oppure quando sottrassero le chiavi all’ambulanza che, dopo aver caricato un’anziana che stava male, non poteva partire.

Adesso sono i padroni della casa di riposo e, anche se non avranno più la possibilità di schiaffeggiare il vecchietto “che ha sbagliato a parlare”, potranno sempre sfogare la loro violenza contro le poche cose rimaste ancora in piedi in quello che, sulla carta, è un Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficienza (Ipab).

 

Una casa di riposo storica, nata prima della fine della seconda guerra mondiale, che nel 1956 un decreto presidenziale della Regione Siciliana aveva trasformato in “Casa di Ospitalità per Indigenti Tommaso Lucentini”, dal nome del benefattore che fece dono dell’edificio. E nel 1987 veniva appunto dichiarata Ipab, arrivando nel tempo ad ospitare una quarantina di indigenti, con tanto di medico convenzionato e di parroco che celebrava messa nella chiesetta annessa.

Negli ultimi anni però, la “Tommaso Lucentini” si è trasformata in una struttura cadente, con il piano superiore dichiarato inagibile e quello inferiore perennemente in ristrutturazione con l’intonaco che veniva giù ogni tre anni.

Niente soldi per il personale. Niente soldi per la spesa. Niente soldi per difendere le camere degli anziani torturate dall’umidità o per evitare che dal tetto della cucina arrivino “condimenti sgraditi” per la minestra.

Tutto un magna magna” ci diceva il barbiere che avevamo intervistato nel 2014 (qui il servizio), in una delle tante occasioni in cui i lavoratori si sono trovati a protestare in strada con gli striscioni, perché stanchi di lavorare senza soldi. Stanchi di dover fermare le lavatrici perché è finito il detersivo. Stanchi di intervenire a cambiare un pannolone, lasciando l’attività che stanno svolgendo nello stesso momento in cucina.

 

Chi avrebbe dovuto difendere gli ospiti? Chi avrebbe dovuto dire che no, non se ne parla neanche di mettere due ubriaconi pregiudicati in una casa di riposo insieme agli anziani?

Chi avrebbe dovuto garantire i loro diritti e la loro umanità?

Nel 2014 c’erano 15 vecchietti, ma soltanto tre pagavano per intero la retta mensile. Tutti gli altri erano a carico, parziale o totale, del comune.

Se fosse stata una realtà privata, oggi sarebbe chiusa da anni. Invece no, perché i soldi pubblici servivano a tenere in piedi il sistema, creando autonomamente anche l’utenza.

In un mondo normale, qualsiasi dipendente non avrebbe accettato di lavorare gratis per anni. Ma questo è il mondo della Regione Siciliana, che non fallisce e che prima o poi sarà costretta a tirar fuori tutti gli arretrati. E dato che in un’area depressionaria come questa, le possibilità di trovare un altro lavoro sono sempre molto ridotte, i dipendenti si sono trovati ad attendere anni pur di non perdere il posto.

 

Ma chi decideva come mandare avanti la baracca?

Nel 2011 era stato ricostituito il consiglio di amministrazione dell’Ipab, che sarebbe dovuto durare 5 anni.

Però dopo una manciata di mesi si dimettono tre componenti su quattro e a dicembre del 2013 la Regione Siciliana nomina un commissario straordinario: l’ingegner Ferdinando Mandina.

Compensi mensili, indennità, rimborsi…

Nel 2014 la palla passa al funzionario Gaspare Noto. Il compito è sempre lo stesso: gestire la casa di riposo ed occuparsi delle relative condizioni patrimoniali, del risanamento e del potenziamento.

Compensi mensili, indennità, rimborsi…

 

Nel marzo del 2019 la Regione Siciliana nomina Francesco Milione che, oltre alla gestione ordinaria e straordinaria, ha il compito di “valutare l’ipotesi di una eventuale procedura di fusione e/o di estinzione dell’ente”.

Alla fine del proprio mandato, Milione fornisce una dettagliata relazione che, più che una diagnosi sembra un’autopsia.

Scrive che nel 2013 c’era un disavanzo di più di un milione di euro, “ingenti debiti per stipendi non pagati al personale”, “contenziosi”, “pignoramenti presso terzi”. Oltre ad “ingentissimi debiti per mancato pagamento di contributi previdenziali ed assicurativi”.

E dato che l’ente “non ha più entrate per cui è impossibile, in assenza di un intervento finanziario straordinario, attuare un piano di ripianamento della massa debitoria”, Francesco Milione avanza l’ipotesi di chiudere tutto.

 

Compensi mensili, indennità, rimborsi…

E arriviamo a luglio 2019, quando viene nominato il dottor Natale Tubiolo, che pare abbia finalmente avviato le procedure di estinzione.

Oggi, ad aprile del 2020 abbiamo un ospizio comunale senza anziani, diventato residenza ormai definitiva di due pregiudicati.

Nessuno, nemmeno gli assistenti sociali si sono messi concretamente di traverso alla scelta di inserire degli alcolisti pregiudicati in una comunità di anziani, mettendo a repentaglio anche la vita degli altri ospiti e delle persone che ci lavoravano.

Giocando con le parole, si dirà che quella era una casa per “indigenti” e i due lo erano a pieno titolo, ignorando che uno di loro nel 2012, in preda ai fumi dell’alcol, aveva accoltellato un altro tizio di 43 anni perché non gli aveva ancora restituito tre euro ed era stato condannato ad otto mesi di reclusione.

Ecco, indigenti sì, ma anche pericolosi.

Già nel 2016 le stesse assistenti sociali del comune ci raccontarono come si fosse svolto il primo “colloquio” di valutazione sulla presa in carico: “Uno di loro, tempo fa, era venuto negli uffici dei servizi sociali urlando e minacciandoci, pretendendo soldi ed un posto dove dormire. Sono anni che abbiamo a che fare con soggetti che piombano nei nostri uffici, aggredendoci e facendo volare le scrivanie”.

E quanto poveri, fragili e senza voce bisogna essere per continuare a convivere con due tizi che si prendono a martellate e a coltellate, o che non ci pensano due volte a schiaffeggiare chi li guarda male?

 

Per troppo tempo, al centro di ogni interesse non ci sono state le esigenze dei più deboli, ma la sete di potere dei più forti.

“Portami i voti e ti faccio lavorare alla casa di riposo” per troppi anni è stata la parola d’ordine di un feroce clientelismo che ha svuotato completamente il senso dell’assistenza e della beneficienza.

Quanti consiglieri comunali ha sfornato l’ospizio Lucentini, soprattutto ai tempi del controllo del voto con la triplice preferenza?

La politica nominava la maggior parte dei componenti del consiglio di amministrazione.

Il presidente veniva designato dall’assessore regionale della Famiglia, il vicepresidente lo decideva il sindaco di Castelvetrano. Poi c’era un consigliere nominato dal comitato dei sindaci del distretto socio-sanitario territoriale, un altro nominato dal presidente uscente dell’Ipab e un altro ancora dal vescovo di Mazara.

Per diversi anni, un sacco di gente avrebbe fatto carte false per “occuparsi dei più deboli”. Solo che, ad un certo punto, questa febbrile aspirazione si è attenuata sempre di più fino a scomparire.

Oggi la mangiatoia chiude. O meglio, sono state avviate le procedure per l’estinzione.

Intanto i cittadini pagano. Compensi mensili, indennità, rimborsi. Senza contare le bollette di luce e gas.

 

Egidio Morici