IL DOLORE DEI VIVI
La fila di camion dell’esercito che esce dall’ospedale e si allontana lenta. Nessuno per la strada. Un gran silenzio. Portano bare. Ogni bara un morto per covid-19. E’ morto solo. Dove vanno? Ci sarà un posto dove un figlio, un parente, la compagna il compagno di vita, i nipoti possano incontrarsi accanto a quella bara? Chi? Cosa c’è in quella bara? Ho letto in questi giorni ( si legge di tutto in questi giorni) che le ceneri, più o meno, pesano due chili.
Ma quando ho visto in televisione quella fila di camion ho avuto un sobbalzo mentale e ho pensato ai vivi e non ai morti. E mi sono rivisto.
Tanti anni fa. A mezza mattina mi arriva una telefonata. “ Papà è in ospedale. E’ gravissimo”. Non me lo dice, mia sorella, ma la voce parla per conto suo “sta morendo” . Che fare? Sono in Emilia, loro a Marsala. Sto presiedendo una Commissione di esami di maturità. Parlo col Provveditore. Nomino chi mi sostituisca per qualche giorno. L’aereo da Bologna mi porta a Palermo. C’è qualcuno – non mi ricordo chi – che mi attende con l’auto. Alle 10 di sera sono accanto a mio padre. Mia madre è lì. Paralisi intestinale. Durante la notte apre ogni tanto gli occhi, mi riconosce, mi saluta, poi va via.
Ecco, quei camion delle bare mi hanno ributtato dinanzi agli occhi me con mio padre morente, mentre penso alle migliaia, migliaia di figli, genitori, parenti condannati all’assenza, a non vivere questo momento essenziale. “Accompagno il mio morto, questo pezzo della mia vita”. Il dolore è per questi vivi.
Giovanni Lombardo - 21 aprile 2020