La cooperante Silvia Romano è tornata in Italia. È atterrata pochi minuti dopo le 14 di ieri all’aeroporto di Ciampino con un volo dei servizi d’intelligence partito da Mogadiscio (Somalia).
Ad accoglierla il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che come, da protocollo antivirus, l’ha salutata offrendole il gomito. Silvia, 24 anni, è scesa dall’aereo con indosso mascherina, guanti e jilbab, una mantella verde che le copriva anche il capo e sotto la quale s’intravedeva un vestito lungo e colorato.
Ha sorriso ai fotografi, ha abbracciato i familiari e poi ha detto: «Sto bene, fisicamente e mentalmente. Ora voglio solo passare tanto tempo con la mia famiglia. Sono felicissima, dopo tanto tempo, di essere tornata».
Poco dopo a Roma è stata interrogata dal pm Sergio Colaiocco e dai carabinieri del Ros per una prima ricostruzione dei 535 giorni del suo rapimento, avvenuto alle 19.30 del 20 novembre 2018 nel villaggio di Chakama, nel sud del Kenya.
La ragazza ha confermato di essersi convertita all’Islam durante la prigionia in Somalia, «ma è stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori che mi hanno trattato sempre con umanità».
A spingerla verso il nuovo credo sarebbero state le letture del Corano: «Me lo hanno dato su un computer, scollegato a Internet, in due versioni: italiano e arabo. Io ovviamente lo leggevo in italiano ma in questi mesi ho anche imparato qualche parola di arabo». Il suo nuovo nome ora è Aisha, come la figlia di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam, considerata la madre dei credenti e sposa del profeta Maometto. La ragazza, che al suo arrivo a Ciampino s’è toccata più volte il ventre, ha negato di essere incinta e smentito l’indiscrezione secondo cui sarebbe stata costretta a sposare uno dei suoi carcerieri: «Non c’è stato alcun matrimonio. Non ho subito costrizioni fisiche né violenze». Dopo l’interrogatorio, Silvia si è sottoposta al tampone ed è tornata a casa a Milano.
Milanese, Silvia Romano era stata rapita 18 mesi fa nel villaggio di Chakama, nel sud del Kenya, dove si trovava per conto della onlus italiana Africa Milele. Secondo le prime informazioni i suoi rapitori facevano parte di una banda di criminali locali che l’avrebbero poi portata in Somalia e venduta a un gruppo appartenente ad al Shabaab, formazione jihadista legata ad al Qaida che da molti anni controlla pezzi del territorio somalo. Non è chiaro dove Romano abbia trascorso la sua prigionia: «Ci spostavamo ogni due o tre mesi, muovendoci a piedi per chilometri, oppure in moto, siamo stati in almeno quattro covi diversi dove ero libera di muovermi, anche se erano sorvegliati». Dice di aver pianto molto i primi tempi: «Ero disperata. Il primo mese è stato terribile. Poi mi hanno detto che non mi avrebbero fatto del male, che mi avrebbero trattata bene». E così è stato. «Mangiavamo molta carne, soprattutto di capretto, e verdure. Ma qualche volta mi hanno anche cucinato la pasta» riporta La Stampa. Per tutti i 18 mesi: «Stavo sempre in una stanza da sola, dormivo per terra su alcuni teli» riporta la Stampa. Per Cristiana Mangani sul Messaggero nell’ultimo periodo «era tenuta in una grotta nelle vicinanze del villaggio di Buulo Fulaay, nella regione somala di Bay».
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La trattativa per la liberazione di Silvia Romano sarebbe iniziata nell’estate del 2019, quando alcuni miliziani di al Shabaab hanno contattato gli uomini dell’intelligence italiana in Somalia. A dare la certezza che Romano fosse viva un video del 17 gennaio scorso. Alla liberazione della ragazza hanno lavorato soprattutto i funzionari dell’Aise, i servizi segreti italiani che lavorano all’estero. Alcuni di loro si trovavano da mesi in Somalia, altri sono arrivati soltanto nelle ultime settimane. Ad assistere l’intelligence italiana, oltre a quella locale, sono stati anche alcuni funzionari turchi (la Turchia ha storici e importanti rapporti economici con la Somalia). La liberazione è avvenuta nella notte fra venerdì 8 e sabato 9 maggio. Foschini su la Repubblica: «La pioggia e la scarsa visibilità hanno reso tutto molto difficile, l’aria era tesa tanto che, proprio nelle stesse ore, a Mogadiscio sono stati esplosi colpi di mortaio nella zona delle ambasciate». Prelevata dagli emissari dell’intelligence Silvia è stata portata all’ambasciata. Lì ha mangiato una pizza e dormito in un letto. Fiorenza Sarzanini sul CdS dà per certo il pagamento di un riscatto e ipotizza una cifra tra due e quattro milioni di euro, Edoardo Izzo sulla Stampa parla 1,5 milioni. Il governo italiano nega qualsiasi transazione ma non convince. «Non è stata una liberazione come le altre, quella della cooperante Silvia Romano. Ha provocato tensioni forti nel cuore del governo. Allargato il fossato che divide Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, infuriato per essere stato estromesso all’ultimo miglio dell’operazione. Ma non basta: la gestione del caso lascia interdetti gli alleati, Stati Uniti e Gran Bretagna in testa. Perché è vero, la “dottrina italiana” ha sempre previsto il pagamento di un riscatto, ma mai come stavolta l’esecutivo non ha fatto nulla per negare la trattativa con gli uomini di Al Shabaab, che gli americani combattono sul campo» .