Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
02/06/2020 11:21:00

Il caso Bose, il ruolo del papa

Pur sorta in un angolo del Piemonte, la vicenda della crisi del monastero di Bose (Biella) - dal quale, per ordine del papa, dovrà andarsene il fondatore, Enzo Bianchi - supera quella regione e, anzi, l'Italia; implica la Santa Sede. E, indirettamente, tocca Chiese ortodosse e il mondo della Riforma. Da giovane laico Bianchi (classe 1943) visse come eremita in una cascina abbandonata di Bose; a partire dal 1965, l'anno della chiusura del Concilio Vaticano II!, si unirono a lui alcuni compagni; poi, vivendo a parte, alcune donne. È nata così una singolare comunità monastica, oggi composta da quasi cento membri, metà uomini e metà donne, che osservano il celibato: alcune delle persone lavorano nel monastero per l'ospitalità, oppure in tipografia, o nella ceramica; altre, come insegnanti o in strutture ospedaliere, in paesi vicini. Tutti versano i loro guadagni in una cassa comune. I presbiteri sono solo quattro o cinque. A parte il lavoro, la meditazione e la preghiera insieme scandiscono le giornate della comunità. La singolarità di questa è che, pur essendo composta in maggioranza da persone cattoliche, in essa vi sono anche ortodossi orientali, o riformati (protestanti), cioè persone di altre Chiese che, rimanendo legate ad esse, fanno però l'esperienza monacale a Bose. Per tali motivi la comunità ha messo a disposizione i suoi locali per incontri ufficiali di una commissione mista cattolico-ortodossa o per ospitare personalità dei patriarcati di Mosca e Costantinopoli. Nel 2017 fratel Bianchi si era dimesso dalla carica di priore (capo), e al suo posto era stato eletto Luciano Manicardi. Ma qualcosa, a quanto pare, non è andata bene in questo avvicendamento, e ne erano nati contrasti; perciò nel dicembre scorso il Vaticano aveva inviato dei "visitatori" per accertare la situazione, e riferire a Roma. Risultato: il 13 maggio il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, con un decreto approvato in forma specifica da Francesco, ha ordinato a Bianchi, ad altri due monaci, e a una monaca, di lasciare immediatamente il monastero. L'ex priore ha commentato: "Invano abbiamo chiesto che ci fosse permesso di conoscere le prove delle nostre mancanze e di poterci difendere da false accuse". Secondo voci ricorrenti, l'ex priore sarebbe stato accusato di "autoritarismo", e di interferenze nel lavoro del successore. Ma in tanti monasteri ci sono tensioni, e non per questo interviene il Vaticano con una decisione che ha lasciato perplessi anche gli ortodossi! D'altra parte, era nota la stima del papa per Bianchi. Per quale motivo (vero motivo), allora, quest'aspra decisione? O, forse, ambienti curiali che trovano intollerabile l'ecumenismo avviato dall'ex priore, hanno in pratica costretto Francesco a censurarlo, demolendone la credibilità? In questa ridda di voci spiacevoli, spetterà alla Santa Sede essere quella "casa di vetro" che essa richiede ad altri e altre. In assenza di convincenti spiegazioni ufficiali, il "caso Bose" finisce per gettare un'ombra sul papa. 

Luigi Sandri in “L’Adige” del 1 giugno 2020 ï»¿