La terza sezione della Corte d’appello a Palermo ha confermato, con alcune modifiche sull’entità delle pene, le condanne inflitte, l’11 luglio 2018, dal gup di Palermo Nicola Aiello a dieci presunti mafiosi marsalesi coinvolti nell’operazione dei carabinieri “Visir”(14 arresti il 10 maggio 2017).
In primo grado, la pena più severa (16 anni di carcere), il gup Aiello l’aveva inflitta al nuovo presunto “reggente” della cosca marsalese: Vito Vincenzo Rallo, 60 anni, pastore, già tre condanne definitive per mafia sulle spalle per una quindicina d’anni di reclusione.
Adesso, la Corte ha rideterminato la pena per Rallo in 23 anni di carcere. In continuazione, però, con un’altra condanna divenuta definitiva alla fine del 2013.
Sempre in continuazione con un’altra condanna (definitiva nel luglio 2006), è stata rideterminata in 16 anni la pena per Ignazio Lombardo, detto “il capitano”, di 49 anni, nipote dell’anziano “uomo d’onore” Antonino Bonafede, padre dell’ergastolano ed ex reggente della “famiglia” di Marsala, Natale Bonafede. A Lombardo il gup aveva inflitto 12 anni. Per il 27enne Aleandro Rallo, nipote del boss Vito Vincenzo, in primo grado condannato a 10 anni, la pena è stata ridotta a 8 anni, 1 mese e 10 giorni, mentre per Michele Lombardo, di 58 anni, imprenditore edile, riduzione più consistente: da 12 anni a 8 anni e 20 giorni. A difenderlo sono stati gli avvocati Luigi Pipitone e Pietro Riggi, che dichiarano: “E’ passata la tesi difensiva secondo cui non poteva essere contestata la recidiva, mentre dal calcolo della pena pare che la condotta si sia fermata al periodo prima di giugno 2015, quando le pene per mafia sono state inasprite. E’ stato, quindi, affermato un importante principio giurisprudenziale. Quello per cui deve essere applicata la norma in vigore nel periodo della condotta contestata. E non sempre ciò accade. Attendiamo le motivazioni per valutare se ci sono i margini per un ricorso in Cassazione”. Luigi Pipitone difende anche diversi altri imputati. Limata di 8 mesi (12 anni e 8 mesi in primo grado) anche la pena per Vincenzo D’Aguanno, di 60 anni, ritenuto uno dei due “colonnelli” della cosca. L’altro, il 54enne Nicolò Sfraga, considerato il “braccio destro” di Vito Vincenzo Rallo, è stato condannato a 11 anni, 6 mesi e 20 giorni (14 anni in primo grado). A difendere Sfraga è stata l’avvocato Daniela Ferrari, che pur manifestando “soddisfazione” per la riduzione di pena ottenuta in accoglimento della tesi difensiva, dichiara di attendere “il deposito della motivazione della sentenza per valutare la possibilità di proporre ricorso per Cassazione, sia in relazione al reato associativo sia ad una ulteriore riduzione di pena”. Dieci anni e 13 giorni, invece, per Giuseppe Giovanni Gentile, detto “testa liscia”, di 46 anni (10 anni e 8 mesi in primo grado), mentre al 38enne Calogero D’Antoni la pena è stata aumentata da 9 anni a 13 anni e 4 mesi. Per gli altri due imputati, la Corte d’appello ha confermato le pene del primo grado: 12 anni Simone Licari, di 61 anni, con precedenti per fatti di droga, e 5 anni e 4 mesi per Massimo Salvatore Giglio, di 44. Quest’ultimo accusato di concorso in associazione mafiosa e favoreggiamento. Tra gli altri difensori, gli avvocati Paolo Paladino, Giuseppe Oddo e Raffaele Bonsignore. L’inchiesta “Visir” è nata nell’ambito di quella più complessiva che mira a catturare il superlatitante Matteo Messina Denaro. I reati contestati, a vario titolo, ai 14 arrestati del maggio 2017 sono stati associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi e altri reati aggravati dalle finalità mafiose. Le indagini di carabinieri e Dda hanno delineato i nuovi assetti e le gerarchie della cosca di Marsala. E alla luce sono venute anche alcune tensioni interne sull’asse Strasatti-Petrosino (che stavano per sfociare in gravi fatti di sangue) per la spartizione delle risorse finanziarie derivanti dalle attività illecite. Tensioni che all’inizio del 2015 hanno visto l’intervento di Matteo Messina Denaro, che ha imposto la pace facendo intendere che altrimenti sarebbe sceso lui in campo con il suo “esercito”. Parti civili nel processo: Sicindustria e Associazione antiracket e antiusura Trapani (avv. Giuseppe Novara), Associazione “La Verità Vive” (avv. Giuseppe Gandolfo), Antiracket Alcamese (avv. Davide Bambina) e il Centro “Pio La Torre” (avv. Ettore Barcellona). Per loro il gup Aiello aveva disposto il risarcimento danni, rinviando però la quantificazione economica al giudice civile.