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27/06/2020 06:00:00

Sicilia, antimafia. Legalità e amministrazioni giudiziarie: la CGIL rivendica il ruolo dei lavoratori

 L’operazione “Buche d’oro” della Guardia di Finanza e l’arresto dei funzionari ANAS Riccardo Contino e Giuseppe Panzica, rappresentanti sindacali e iscritti alla Filt CGIL (poi sospesi), è un fatto. L’operazione “Malupasso” e le intercettazioni del sindacalista (autosospeso) Giovanni De Caudo con Fabio Agatino Frisina, iscritto alla CGIL e affiliato al clan mafioso Ercolano - Santapaola impegnato nella raccolta di voti a favore della candidatura regionale di Angelo Villari, ex segretario generale della CGIL di Catania ed ex assessore comunale al welfare, è un altro fatto che si consuma tra le cronache giudiziarie del capoluogo etneo. 

Eppure, nessun imbarazzo sembra aleggiare nel cortile barocco della Camera del Lavoro di Catania dove nella serata di ieri si è celebrato alla presenza del Presidente della Commissione Regionale Antimafia, Claudio Fava, il successo di GeoTrans, azienda sottoposta a sequestro e amministrazione giudiziaria, poi definitivamente confiscata agli Ercolano.

«La GeoTrans ha iniziato il suo percorso con il sequestro a marzo del 2014 avviando la sua rinascita aziendale», racconta Denise Bongiovanni, rappresentante sindacale della Filt CGIL alla GeoTrans. «Noi lavoratori ci siamo trovati inizialmente in una condizione di difficoltà perché un’azienda confiscata non sempre riesce ad andare avanti. Però, l’amministratore ha capito che per fare andare avanti un’azienda bisogna affidarsi ai dipendenti. E così è stato: ha creduto in noi e nella GeoTrans, e noi ci siamo affidati a lui», ammette.

«Il nostro settore merceologico - spiega la rappresentante sindacale - era per almeno l’80% il trasporto di ortofrutta. Una volta sequestrata l’azienda, il fatturato ha iniziato a calare e l’amministratore ha indicato la strada di altro investimento. Abbiamo perso molti dei nostri clienti che hanno deciso di rivolgersi ai nostri diretti competitori: la famiglia Ercolano che ha costituito una cooperativa di lavoratori che facevano capo sempre a loro e portando via la nostra clientela nonostante i prezzi fossero superiori ai nostri». Dopo la segnalazione dell’amministratore giudiziario, è seguito l’intervento tempestivo del Tribunale di Catania che nel mese di novembre ha disposto il sequestro dell’azienda. 

«Noi abbiamo continuato con molte difficoltà», ammette Denise Bongiovanni rilevando tra le criticità “l’impossibilità di accedere a prestiti bancari perché un’azienda sequestrata  e confiscata non è ritenuta affidabile”. «Fortunatamente Banca Etica ha creduto in noi: ci ha finanziato l’acquisto di semirimorchi. Per ringraziare Banca Etica è stato inserito lo slogan: “La legalità viaggia con le aziende sequestrate». 

Applausi scroscianti in platea: la parola “legalità” fa sempre il suo effetto. 

Irrilevante tra i presenti è il fatto che tra i principali soci azionari di Banca Etica spicchi il nome di Beppe Grillo, padre putativo del M5S. Altrettanto irrilevante il fatto che il sen. Steni Di Piazza, eletto tra le fila del M5S, sia l’ex direttore di filiale di Banca Etica a Palermo. 

E passa in sordina, ovattata dall’eco della legalità, un altro fatto. Anche Ugo Forello, consigliere comunale eletto in quota M5S, poi migrato al gruppo misto, noto e storico esponente di Addiopizzo, è stato tra i primi soci e correntisti di Banca Etica di cui è promotore a Palermo e provincia. Lo stesso Ugo Forello nipote di Mario Caniglia, l’amministratore giudiziario balzato agli onori delle cronache per avere fornito ventresca di tonno, gamberoni e presumibilmente altri favori a Silvana Saguto, l’ex Presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo accusata tra i vari reati anche di corruzione per l’assegnazione dei beni confiscati. Subito dopo la cena dove si erano consumati la ventresca e i gamberoni, Mario Caniglia veniva intercettato dalla GdF: «Ma io vorrei un’altra amministrazione giudiziaria. Non mi dispiacerebbe». E Silvana Saguto lo rassicurò: «Eventualmente, la facciamo entrare nella società. Chi fa parte della società non viene spostato dall’agenzia dei beni confiscati». Forello si è sempre detto estraneo alle attività dello zio, ma nel 2016 Silvana Saguto dichiarava a Repubblica Palermo che anche preti e associazioni le suggerivano i nomi degli amministratori giudiziari e, tra queste, anche Libera e Addiopizzo. Dettagli. 

In Sicilia sono 759 le aziende confiscate, stando ai dati riportati dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Di queste, 231 sono aziende nel settore delle costruzioni, 155 le aziende di commercio all’ingrosso, 33 le imprese attive nel settore della ristorazione, 18 le aziende del settore immobiliare e 55 le aziende nell’ambito dei trasporti e attività di magazzino. Se per GeoTrans si parla di “best practice” dell’amministrazione giudiziaria, lo stesso non si può dire per tutte le aziende sequestrate in misura preventiva che, alla resa dei conti, vengono restituite in macerie a quegli imprenditori che con la mafia non avevano nulla a che vedere. Le pagine di cronaca raccontano di aziende completamente smantellate, i lavoratori rispediti a casa, gravi danni all’economia generale sul territorio. 

Perché le aziende in amministrazione giudiziaria sono inclini al fallimento?

«Sono due le questioni da affrontare», risponde il segretario regionale della CGIL, Alfio Mannino. «Intanto, in Italia non abbiamo una legislazione che tuteli davvero le aziende confiscate perché dalla confisca all’assegnazione definitiva passa molto tempo e dentro questo lasso di tempo la mafia potrebbe provare a riappropriarsi di queste aziende. E poi non ci sono tutti quegli strumenti di natura normativa a partire dal sostegno bancario alla tutela di queste aziende aziende sul mercato. Non c’è dubbio - incalza Mannino - che in un territorio come quello siciliano l’economia sia fortemente permeata dalla criminalità organizzata e c’è sempre il rischio più concreto che attorno alle aziende si venga a creare un clima di non agibilità. E questo è naturalmente un problema per le aziende, per l’economia sana, ma soprattutto per i lavoratori e le lavoratrici che sono quelli che poi rischiano di restare senza lavoro. 

«Dentro questo scenario - continua il segretario regionale della CGIL - viene veicolato un messaggio pericoloso che noi dobbiamo evitare che passi: “Con la mafia si lavora e quando la mafia viene buttata fuori dalle aziende, queste aziende sono destinate a fallire”. Quindi, sotto questo profilo noi abbiamo la necessità di rivendicare le giuste norme affinché ci sia una riforma complessiva del settore. Ma la cosa ancor più importante è che gli strumenti che oggi ci sono, a partire dall’Agenzia, possano davvero funzionare. È stato un fatto grave che per circa un anno, nella Sicilia orientale, non ci fosse un responsabile regionale dell’Agenzia perché non avere un interlocutore è stato un grosso problema. Dopodiché, la Sicilia ha subito la nota vicenda in cui si è espresso il ruolo della dottoressa Saguto che non ha prodotto i risultati che noi speravamo. Lì si sono creati dei danni non soltanto nei rapporti con l’opinione pubblica ma anche tra i lavoratori e le lavoratrici che ancora oggi scontiamo».

Non sempre, tuttavia, gli imprenditori accusati di essere in odor di mafia lo erano davvero.

La CGIL non ha mai valutato l’ipotesi di una collaborazione tra i datori di lavoro e amministratori giudiziari in attesa di una sentenza definitiva?

«Ma no perché noi dobbiamo evitare che comunque ci possa essere una continuità anche perché nei rapporti con la criminalità organizzata tutti sappiamo che c’è sempre un filo molto labile in terra di Sicilia. Quindi, è giusto che tra il prima e il dopo ci sia una completa rottura e discontinuità. Il problema è che non sempre le amministrazioni giudiziarie si sono rivelate all’altezza. È questo il vero problema che noi stiamo scontando». 

Quali sono le caratteristiche che dovrebbe avere un buon amministratore giudiziario?

«Agire in legalità e trasparenza e soprattutto avere sempre la consapevolezza che il primo ruolo che deve avere è dare sì continuità all’azienda ma soprattutto difendere e tutelare i lavoratori e le lavoratrici».

E le competenze?

«Assolutamente sì. Ma con la normativa nazionale non sempre i tribunali assolvono a questo ruolo»

Nel 2012 la CGIL era capofila insieme a Libera, SOS Imprese e altre associazioni di una Proposta di Legge “Io Riattivo il Lavoro” che prevedeva l’assegnazione per finalità sociali di aziende e/o beni immobili anche in caso di sequestro preventivo, perciò a prescindere dall’accertamento dell’origine illecita dei beni. La proposta di Legge non ha attecchito in Parlamento. Tuttavia, in tal senso, già interviene l’articolo 46 del Codice Antimafia: qualora venga disposta la restituzione del bene all’avente diritto, all’interessato spetterà soltanto il “diritto alla restituzione di una somma equivalente al valore del bene confiscato quale risultante dal rendiconto di gestione, al netto delle migliorie, rivalutato sulla base del tasso di inflazione annua”. 

Considerate le restituzioni registrate negli ultimi tempi, alla luce dei gravi danni accertati arrecati alle aziende che hanno perso il loro valore al tempo del sequestro e agli imprenditori accusati di essere collegati alla mafia sulla base di ipotesi, dubbi e sospetti poi rivelatisi infondati e ai conseguenti gravi danni anche ai loro dipendenti, la CGIL come si pone in tal senso?

«Sì, la CGIL ha presentato questa Proposta di Legge accompagnata da una sottoscrizione di firme in cui, in qualche modo, ponevamo rimedi. Il Parlamento nazionale però non ha ritenuto fare i dovuti interventi di natura normativa per rispondere alle discrasie che nell’attuazione pratica con le leggi precedenti hanno portato queste storture. Va detto che la Proposta di Legge fu valutata positivamente. Poi, nell’applicazione pratica sono emerse tutte queste storture. Io credo che, visto il lasso di tempo abbastanza lungo intercorso e le inadeguatezze che la Legge mostra, oggi è il tempo di intervenire. Per questo, noi oggi siamo qui a parlare e discutere di un’esperienza che ha avuto un suo sbocco positivo. Dobbiamo però avere l’onestà di dire che purtroppo a partire dalla Sicilia non esistono altre realtà positive».  

Intanto, a seguito delle numerose segnalazioni, la Commissione Regionale Antimafia ha avviato l'inchiesta sulle aziende e sui beni sequestrati. Che sia giunto il momento di fare luce sulle amministrazioni giudiziarie e sulle Misure di Prevenzione? Sarebbe ora.

Debora Borgese