Una cultura mafiosa, che ha nell'omertà la regola principe, un patto scellerato, un omicidio commissionato per soldi. Un silenzio lungo sette anni, nonostante in tanti sapessero. E' inquietante lo spaccato che emerge dall'inchiesta che ha portato all'arresto del noto imprenditore della Trapani "bene" Matteo Bucaria, per anni considerato paladino dell'"antimafia" da diversi rappresentanti delle istituzioni.
Della vicenda ci siamo occupati qui.
E già qualche giorno fa abbiamo raccontato alcuni retroscena della vicenda.
Gaspare Gervasi ha fatto il killer per denaro. Voleva uccidere Domenico Cuntuliano perchè, come ha detto al Pm, interrogato qualche settimana fa, "con i soldi si può tutto". I magistrati hanno poi il sospetto che Gervasi si sappia muovere in contesti mafiosi, dato che è in rapporto con nomi importanti, come i Coppola e i Virga. Ma, di certo, è un tipo che ha una sua "sottocultura mafiosa", dove l'omertà è un valore e collaborare con la giustizia è roba da "infami". Lo si vede non solo dal suo silenzio di questi sette anni, ma anche da altri episodi, come la revoca al suo primo legale, Vito Galluffo, che voleva spingerlo, giustamente, a confessare, anche per alleggerire la sua posizione nel processo e ridurre la pena. E invece lui si è accollato la pena per intero, pur di non parlare. E ha cambiato anche avvocato. Quando la figlia Anna lo va a trovare in carcere, il 30 Aprile 2013, lui manda un messaggio preciso: «Mio padre gli dici: non è in galera per mandare la gente in galera… hai capito?… a testa alta… non nascosto… mi faccio due anni in più… cinque anni in più… ma non conta niente… (…) Mio padre sa cose ma non parla…perché no ne butta gente in galera mio padre…anche perché mio padre non ha fatto niente…”.
C'è voluto il sequestro della lettera indirizzata a Bucaria per convincere, dopo tanti anni, Gervasi a confessare. Anche perchè si è reso conto che lui si è rovinato la vita, ha buttato la famiglia sul lastrico, e quei soldi, per i quali si fa tutto, non sono mai arrivati.
Ma perché Gervasi decide di scrivere a Bucaria? Lo racconta nell'interrogatorio del Giugno scorso: «Ho scritto questa lettera dopo tanto tempo, dopo essere stato recluso più di sette anni in carcere e senza avere mai avuto in questi anni alcun contatto con il BUCARIA, perché era stato toccato mio figlio. Avevo infatti saputo che la polizia stradale aveva “messo gli occhi” su mio figlio e ho pensato che fosse responsabilità del BUCARIA Matteo. Se non fosse accaduto che la Stradale contattava mio figlio non gli avrei mai scritto, perché, come dico nella lettera, non sono un “infame” e avrei continuato a stare in galera, come ci sono stato per sette anni, altri due anni. Ora ho deciso di raccontare come sono andati i fatti, anche perché il BUCARIA mi ha preso in giro tutti questi anni e io non posso sopportarlo».
Qual era l'accordo con Bucaria? Sempre Gervasi, racconta: «l’accordo era… se io l’ammazzavo, lui mi doveva dare un importo, non abbiamo dato una cifra, ma un importo non significa 500 mila euro… (…) l’accordo era che lui… se andava male, cioè ferendolo, lui doveva… dare i soldi alla mia famiglia e a me». Giuseppe Gervasi ha subìto in silenzio una pesante condanna ed ha scontato senza fiatare oltre sette anni di carcere, nel corso dei quali i suoi familiari si sono trovati in difficoltà economiche ed hanno fatto fatica a sbarcare il lunario. Per tutto il tempo, ha tenuto fede al codice di comportamento omertoso che si era dato, confidando nel fatto che il mandante sarebbe stato altrettanto “leale” nel rispettare i patti ed avrebbe, quindi, trovato il modo di ricompensare lui e la sua famiglia per quei “sacrifici”. Col sequestro della lettera ad opera degli inquirenti, Gervasi ha compreso che, a quel punto, Bucaria non avrebbe più fatto né potuto fare nulla in suo favore, perché ogni gesto sarebbe stato interpretato come ammissione di colpevolezza. Dovendo rinunciare ad ogni ricompensa, Gervasi – a costo di diventare, secondo lui, un «infame» – ha ritenuto di non dover più proteggere colui che, durante la sua carcerazione, aveva continuato a condurre una vita libera ed agiata.
Gervasi, sin dalle prime fasi della sua carcerazione, tramite i familiari, aveva cercato di contattare Bucaria per avere denaro in cambio del suo silenzio («se no la bottiglia si svuota»). Ci ha riprovato anni dopo. Poi, esasperato, si è deciso a scrivere una lettera, che, in testa sua, doveva restare riservata («che nessuno la apra solo Mat. B. Grazie»). Nel contenuto, la lettera – scritta in un italiano pieno di errori di ortografia, ma chiara nei toni – non esprime odio nei confronti del destinatario («spero che assieme alla tua fam. E tua madre state tutti bene»), ma intende richiamare Bucaria ai suoi “doveri”.
Ancora Gervasi, interrogato: «Mi ha preso in giro, nel senso che fra noi c’era un accordo ed era il seguente. Io avrei dovuto uccidere suo cognato Domenico CUNTULIANO e lui mi doveva pagare. Io sono stato l’esecutore materiale del tentato omicidio e lui era il mandante è lui che mi ha chiesto di farlo (…) in questi anni (BUCARIA) non mi ha mai versato un soldo, né a me né alla mia famiglia, come invece erano gli accordi anche se non avevamo mai stabilito una somma precisa (…) quando ci incontrammo BUCARIA mi disse “sei capace di ammazzarlo?” ed io gli risposi “con i soldi si può tutto”, perché come ho detto l’accordo prevedeva che lui pagasse me e la mia famiglia, oltre alle mie spese legali. Cosa che però non è mai avvenuta in tutti questi anni ... l’accordo era… se io l’ammazzavo, lui mi doveva dare un importo, non abbiamo dato una cifra, ma un importo non significa 500 mila euro… (…) l’accordo era che lui… se andava male, cioè ferendolo, lui doveva… dare i soldi alla mia famiglia e a me»).
Ricordiamo che in quel periodo l’imprenditore trapanese versava in una situazione economica difficile – come si evince dalla sentenza di patteggiamento per bancarotta fraudolenta per distrazione di considerevoli importi di denaro tra il 2009 ed il 2011, con dichiarazione di fallimento del 2015 –, mentre il cognato, a seguito di un grave incidente, aveva ricevuto un indennizzo pari ad € 620.000,00, versato dalla compagnia assicurativa UnipolSai il 16 settembre 2011, sul conto corrente sul quale la sorella Rosa Cuntuliano aveva i più ampi poteri dispositivi. Cuntuliano, dal canto suo, aveva beneficiato di quel denaro solo in misura contenuta e senza neppure essere riuscito a conoscere, pur avendo chiesto più volte, la reale portata di quanto gli era stato corrispost,o ed avendo anzi ricevuto dal cognato la falsa informazione che il risarcimento ammontava a solo 130.000 euro. Scrive la Procura: "Il conto presso la BCC Toniolo – sul quale Domenico Cuntuliano non ha mai operato – è stato prosciugato in poco più di un anno attraverso una serie di prelevamenti in contanti e disposizioni effettuate da Rosa Cuntuliano in favore di sé stessa, della suocera, del marito Matteo Bucaria, delle imprese a questi riconducibili (EDILTECNA, AI BASTIONI), di Antonio VENTO nella qualità di agente della UNIPOL Assicurazioni (€ 100.000,00) e di attività commerciali presso le quali non risulta essersi servita la persona offesa (cfr., ad esempio: € 9.000,00 ed € 7.500,00 per Gioielleria AMANTIA; € 10.000,00 ed € 5.000,00 per TRAPANI CHARTER s.r.l.; € 6.000,00 per THE INSTITUTE; € 6.000,00 DA.RO.MARCI; € 2.499,99 per LUNETTO Mobili Partinico; € 2.356,77 per EST Viaggi Trapani; € 5.000,00 per ITALCHIMICA; € 3.000,00 per Aster s.r.l.); solo una parte minore della provvista iniziale di € 620.000,00 sembra essere stata destinata a movimenti fatti nell’interesse di Domenico CUNTULIANO, quali quello in favore dell’avv. CAVARRETTA per il pagamento di prestazioni professionali, il versamento di € 135.000,00 sul conto corrente aperto presso UGF Banca e la negoziazione di € 70.000,00 presso Poste Italiane".