Nei primi anni ‘90 a Marsala si scatena una sanguinosa guerra di mafia.
La famiglia marsalese dei Zichittella osa mettersi contro il capomandamento di Mazara, il boss Mariano Agate, fidatissimo di Totò Riina. Una scelta che fa scatenare la furia omicida dei corleonesi. Il capo dei capi dà mandato ai suoi più fidati killer, da Matteo Messina Denaro, a Leoluca Bagarella, da Giovanni Brusca a Vincenzo Sinacori, di fare terra bruciata a Marsala. La città in quei mesi diventa un territorio di guerra. La famiglia mafiosa di Marsala, che aveva chiesto il sostegno degli “stiddari”, doveva essere azzerata. E con lei tutti quei personaggi che le stavano vicino anche nelle altre città della provincia di Trapani. E in questo contesto i boss decidono che deve morire anche Diego Pipitone. Nell’agguato muoiono il fratello Mariano Pipitone e il cognato Vincenzo Surdo. Diego Pipitone si salva, in modo rocambolesco, come abbiamo raccontato ieri. Ma cosa ha fatto Pipitone per meritarsi la sentenza di morte dei corleonesi? I fatti emergono nella sentenza del processo Omega che nei primi anni 2000 fece luce sull’organigramma mafioso della provincia di Trapani e su molti delitti eccellenti che si consumarono nel territorio.
La figura di Diego Pipitone è ormai nota ai lettori di Tp24. E’ ritenuto il “reuccio” di San Giuliano quartiere popolare di Erice. Lì, forte della sua caratura criminale, riesce a dirimere controversie, far ritrovare roba rubata, ma soprattutto - come abbiamo raccontato nell’inchiesta “San Giuliano Criminale” - è un “grande elettore”. Riesce a muovere grandi pacchetti di voti, è capace di far eleggere candidati e di farli dimettere il giorno stesso dell’insediamento al consiglio comunale. La sua è una delle figure centrali nelle trame di Erice e Trapani, nota a tutto il mondo politico, e una parte di questo non disdegna il suo sostegno.
Diego Pipitone, però, ha un passato criminale di spessore. Nei primi anni ‘80 è stato condannato a 18 anni di carcere per aver ucciso un suo rivale in amore. Si trovava in libertà vigilata, Diego Pipitone, quando il 18 ottobre del 1992 tre sicari gli tendono un agguato a Castellammare del Golfo, sua città di origine. Prima gli bucano la ruota dell’auto, poi l’agguato. Pipitone si salva, in maniera rocambolesca, con diversi colpi di pistola che lo colpiscono. La pistola si inceppa, lui riesce a scappare, con il corpo crivellato. In quel raid restano però uccisi il fratello Mariano Pipitone e il fidanzato della sorella, Vincenzo Surdo.
Pochi giorni prima dell’agguato a Diego Pipitone viene ucciso dai sicari di cosa nostra Diego Canino. La strategia era di fare fuori gli aiutanti dei mafiosi marsalesi contrapposti ai corleonesi. Anche quelli fuori Marsala. Diego Canino era zio di Leonardo Canino, aiutante della clan marsalese, nipote di Carlo Zichittella. In quei giorni Diego Pipitone ha “nascosto” in casa sua Leonardo Canino a cui i killer corlenesi davano la caccia. Una circostanza venuta a conoscenza dai corleonesi che, spietati, hanno deciso di far fuori non solo gli amici dei marsalesi ma anche gli amici degli amici.
Parte l’ordine di far fuori Diego Pipitone. Anni dopo è anche Totò Riina in persona a beccarsi la condanna all’ergastolo per aver dato l’ok all’agguato Pipitone, tramite i suoi luogotenenti in provincia di Trapani. Nel tentato omicidio a Pipitone sono coinvolti boss del calibro di Giovanni Brusca e Vincenzo Sinacori, ma anche Matteo Messina Denaro e Leoluca Bagarella. E’ Brusca ad esempio a consegnare l’auto rubata ai sicari per pedinare Pipitone e tendere l’agguato.
Ma è Vincenzo Sinacori, uomo d’onore poi “pentito”, a raccontare ai magistrati che quando cercavano Leonardo Canino seppero tramite i Marsalesi che un certo Pipitone dava appoggio a Canino. Da lì decisero di uccidere Pipitone “in quanto era un fiancheggiatore dell’associazione criminale nemica”. Sinacori discute la cosa con Brusca, che in quel periodo era latitante e si nascondeva proprio a Castellammare del Golfo, e aveva ottimi rapporti con i mafiosi locali. Decidono di dare la caccia a Pipitone. Viene informato anche Vincenzo Virga, boss di Trapani, per cercare Pipitone anche in quella città.
Una parentesi nel presente: Pipitone e i figli di Virga, arrestati nell’operazione Scrigno, si sono “scornati” a distanza durante le elezioni amministrative a Trapani ed Erice nel 2017 nella sfida ad accaparrarsi l’ultimo voto per i candidati da loro protetti.
La regola della mafia è che un omicidio di mafia deve avvenire con il coinvolgimento dei mafiosi della città in cui si consuma il delitto. Così Brusca stesso consiglia ai castellammaresi di uccidere Pipitone “poichè - si legge nella sentenza Omega - aveva fama di uomo pericoloso e sveglio e c’era quindi la possibilità che decidesse di prendere per primo l’iniziativa contro uomini di cosa nostra, conoscendo l’ambiente criminale del suo paese”. Brusca in quel periodo veniva “accudito” nella sua latitanza a Castellammare da Agostino Lentini, e Gioacchino Calabrò, che presero parte al gruppo di fuoco per uccidere Pipitone. Brusca stesso si era messo a disposizione per compiere l’omicidio, ma i castellammaresi gli dissero che non c’era bisogno.
Il terzo uomo del commando era Giuseppe Ferro, che negli anni successivi racconterà tutto agli inquirenti. Un giorno anche Leoluca Bagarella va a Castellammare e parla con Ferro e Calabrò della guerra di mafia a Marsala e della necessità di eliminare Pipitone. Questo avviene pochi giorni prima il giorno dell’agguato messo in atto da Ferro, Calabrò e Lentini. Sarà Brusca a raccontare che “aveva tutto in mano” Sinacori.
Calabrò, boss di Castellammare del Golfo, non è una figura di poco conto in cosa nostra. Ha fatto parte del gruppo di fuoco che mise in atto gli attentati in Italia nel 92 e 93. E’ implicato nelle stragi di Roma, Milano e Firenze del 93, nel fallito attentato all’Olimpico di Roma, negli omicidi di Antonella Bonomo (la compagna del boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo), nel delitto del capitano di lungo corso ed imprenditore Paolo Ficalora; il suo nome compare anche nelle indagini per la strage di Pizzolungo del 1985. Di recente si è parlato di lui per l’attenuazione del regime carcerario, fatto che ha suscitato molte polemiche tra le famiglie delle vittime degli attentati a cui ha partecipato.
L’attentato nei confronti di Pipitone nasce quando alcuni marsalesi fedelissimi ai corleonesi riferiscono ai mazaresi che Pipitone aveva fornito un nascondiglio a Leonardo Canino a Trapani. Sinacori organizzò la cosa, informò dell’intenzione di uccidere Pipitone sia il boss di Trapani Virga che quello di Castellammare Calabrò, e gli conferì il mandato esecutivo.
La sera del 18 ottobre ‘92 la vita di Diego Piptione, reuccio di San Giuliano, non finisce. Salvato da una pistola che si inceppa.