Non sarà possibile accertare l’eventuale responsabilità penale dei medici accusati di omicidio colposo in concorso per la morte della 40enne marsalese Maria Vita Curatolo, figlia dell’ex preside Chela Vinci.
La prescrizione, infatti, ha ‘stoppato’ il processo avviato davanti al giudice monocratico Andrea Innocenti (seconda sezione penale del Tribunale di Palermo).
Imputati erano cinque medici del reparto di Neurochirurgia degli Ospedali Riuniti Villa Sofia e Cervello di Palermo. Secondo l’accusa, sarebbero stati responsabili, per “imprudenza, imperizia e negligenza”. Rinviati a giudizio dal gup Antonella Consiglio, alla sbarra erano Salvatore Giovanni Barrale, di 66 anni, Stefano Arcadi, di 59, Marika Tutino, di 48, Tiziana Costanzo, di 46, e Silvana Tumbiolo, di 54. Dopo avere subito, il 3 settembre 2012, un intervento chirurgico all’ospedale di Padova, Vita Maria Curatolo si era presentata nel reparto di Neurochirurgia degli ospedali riuniti di Palermo il 19 dello stesso mese “con infezione – si legge nelle carte dell’accusa – del sito chirurgico associato a idrocefalo post-chirurgico”. E i cinque medici, secondo l’accusa, “nelle diverse consulenze effettuate, contrariamente a quanto suggerito dalla letteratura medica di settore e nonostante le richieste di consulenza dei medici del reparto di Medicina Interna, nonché viste le condizioni della paziente… si limitavano a proporre la sola terapia antibiotica” ed un altro trattamento “con esclusione dell’adeguato, tempestivo e necessario trattamento chirurgico immediato dell’idrocefalo così cagionando o comunque contribuendo alla evoluzione in edema cerebrale diffuso con danno irreversibile della sostanza bianca fino al coma e al successivo decesso della paziente”. L’intervento chirurgico venne effettuato nella notte tra il 12 e il 13 novembre 2012. Ma ormai era troppo tardi. La paziente morì sei giorni dopo.
Il procedimento fu avviato a seguito della denuncia della madre di Maria Vita Curatolo, l’ex preside in pensione Michela Vinci, che nel processo si è costituita parte civile con l’assistenza dell’avvocato Maurizio D’Amico. La prescrizione, comunque, a differenza di un’eventuale assoluzione, lascia aperta la porta all’azione civile per il risarcimento del danno. Nell’ultima udienza, fissata per l’audizione dei consulenti tecnici del pubblico ministero, la dottoressa Claudia Minicapelli Marotta e il dottor Massimo Furnari, il giudice Innocenti, rilevata l’avvenuta prescrizione del reato, ha invitato le parti a concludere. I difensori dei medici non hanno rinunciato alla prescrizione, chiedendo l’assoluzione dei loro assistiti ed in subordine il proscioglimento per intervenuta prescrizione.
“Sono molto rammaricato per quanto accaduto – dice l’avvocato Maurizio D’Amico - L’intervenuta prescrizione preclude il naturale svolgimento del processo e non ci consente di fare piena luce sule cause della morte prematura di Maria Vita, la cui vicenda Vita impone a tutti noi una riflessione seria circa l’effettività dell’obbligatorietà dell’azione penale nel nostro Ordinamento. Un procedimento che è arrivato troppo tardi a giudizio, dopo due richieste di archiviazione ed un provvedimento di imputazione coatta del GIP di Palermo, e soltanto per la caparbietà e l’amore della Preside Vinci per sua figlia”.
L’ex preside è intervenuta in aula con una breve dichiarazione, spiegando le ragioni che stavano a fondo della sua denuncia. “La morte di Maria Vita – ha detto - ci riguarda tutti, mi auguro che quanto accaduto non abbia più a ripetersi”. E a fine udienza, ha aggiunto: “Una morte, quella di mia figlia, che meritava un’attenzione diversa da parte della Procura. Resta ferma la convinzione della bontà delle nostre ragioni”.
L’avvocato D’Amico ha concluso affermando: “Attendiamo la stesura ed il deposito della motivazione per capire se il Giudice pur dichiarando la prescrizione sia entrato nel merito della vicenda”.