Sono morto pure io con il povero giudice Rosario Livatino. Per Pietro Ivano Nava il 21 settembre 1990 fu l’ultimo giorno della sua vita prima. Lo dovenne quando decise di denunciare ciò che aveva visto, l'uccisione del giudice ragazzino.
Così racconta il primo testimone di giustizia d’Italia in un’intervista esclusiva che Famiglia Cristiana pubblica nel numero in edicola.
In occasione dell’uscita del libro "Io sono nessuno" (Rizzoli), pubblicato in concomitanza con il trentennale della morte del magistrato siciliano. Nava si trovò ad assistere ad alcune fasi dell’agguato culminato con la morte del pubblico ministero, ucciso da quattro killer su mandato della Stidda, la fazione che voleva contendere a Cosa Nostra il controllo del territorio di Agrigento: "Stavo andando da un cliente. Ero responsabile per il Sud di una grande azienda di porte blindate".
Da allora Nava vive con un’altra identità, ha cambiato lavoro e si è ricostruito da zero una nuova esistenza. "Certo che lo rifarei. E' l'educazione che mi hanno dato i miei genitori. Non c'era un’altra scelta. Pensa che mi sarei potuto svegliare il giorno dopo in albergo, farmi la barba, andare a fare colazione, leggere della morte del giudice e far finta di nulla? Se avessi taciuto non sarei più stato un uomo libero, non mi sarei più potuto guardare allo specchio". Pietro Ivano Nava si espose in prima persona prima ancora che ci fosse uno specifico programma di protezione: ha contributo in modo determinante - con la Commissione antimafia presieduta allora da Rosy Bindi - alla riformulazione della nuova legge sui testimoni di giustizia.