Dunque, l’analisi del voto. Facciamola in due parti, oggi occupiamoci dei perdenti, domani di chi ha vinto.
A proposito di perdenti, del Sindaco uscente Alberto Di Girolamo, del Pd e della sua coalizione: quando lunedì, durante la nostra maratona elettorale, emergevano da subito le proporzioni della sconfitta contro Massimo Grillo pensavo ad una fenomenale battuta di Beppe Viola:
Il pugile: “Come vado?”
L’allenatore: “Se l’ammazzi fai pari”.
Dal giorno dopo, invece, a tutti coloro che mi chiedevano, fornivo quest’immagine, altrettanto efficace: è stato come un tale su una bicicletta ( Di Girolamo) che è andato a sbattere frontalmente contro uno che guidava un treno (Grillo).
Solo che ho un animo romantico. E allora ho corretto il tiro: è stato come se Di Girolamo, a bordo di una locomotiva, si sia volutamente andato a schiantare contro un treno ultraveloce di nuova generazione.
Qualcuno l’avrà capito, il riferimento è ad una grande ballata: “La locomotiva” di Francesco Guccini. La storia di un anarchico che al grido di “trionfi la giustizia proletaria” un giorno decide di dirottare una vecchia locomotiva a vapore per andarsi a scontrare a tutta velocità contro un treno di lusso “pieno di signori”.
Gli eroi son tutti giovani e belli, canta Guccini. E giovane e bello sicuramente non è Alberto Di Girolamo, ma c’è qualcosa di potente ed eroico nell’ostinazione, ai limiti della stoltezza, con cui è andato incontro alla sconfitta perfetta. Un pazzo si è scagliato contro un treno.
L’ha pianificata per bene, quasi con lucida follia, in un lavoro che è stato uguale e contrario, in questi anni, a quello di Massimo Grillo. Mentre il Celeste tesseva le fila della sua vendetta dopo la sconfitta del 2015 (e ne parleremo domani) Di Girolamo con estrema lucidità lavorava, giorno dopo giorno, per sottrarsi al rapporto prima con chi l’aveva eletto, poi con il resto della città, per isolarsi. Ha creato intorno a se un clima di sospetto e veleni, evitato ogni collaborazione.
Tutti i segnali erano chiari. Non si doveva ricandidare. Non lo voleva il Pd, non lo voleva la città, non lo voleva la legge elettorale. Sembra quasi che l’abbia fatto apposta - ripeto - come il gesto dimostrativo dell’anarchico che fa della macchina a vapore una bomba. Lui ha fatto la stessa cosa.
Su quel treno ha corso corso corso verso lo scontro fatale, aspettando il lampo e lo schianto.
Ancora oggi, sembra non essere appagato. Nelle sue dichiarazioni post voto c’è avversità contro tutti, a cominciare da quello che Saragat avrebbe definito un “destino cinico e baro”. Non c’è un minimo di autocritica.
Va anche detta un’altra cosa, a proposito di treni.
Su un treno, l’Orient Express, si svolge uno dei gialli più belli di Agatha Christie. E’ "Assassinio sull’Oriente Express". Spoiler. Il celebre investigatore Hercule Poirot scopre che la vittima è stata assassinata non da una persona, ma da tutti i sospetti. Ognuno, infatti, ha dato la pugnalata fatale.
La sconfitta di Di Girolamo è di così ampia portata che ogni analisi è quella giusta, perché non c’è un colpevole, sono tutti colpevoli, ognuno ha dato la sua pugnalata. A cominciare dal Sindaco che si è autotrafitto nell’isolamento che si è costruito in questi anni, fino ai suoi assessori, colonnelli del signor-si-signore, ai candidati, a chi aveva promesso liste roboanti e poi non è arrivato neanche ad eleggere se stesso, al Pd che è scappato. Ognuno ha dato la sua pugnalata letale.
E come si ricomincia?
Sempre da un treno. Altro libro, e ho finito. E’ il capolavoro di Gabriel Garcia Marquez, “Cent’anni di solitudine”. C’è una scena memorabile. Una donna sta lavando i panni nel fiume, quando vede, per la prima volta in vita sua, un treno. Non ne ha mai sentito parlare, non sa cos’è. Vive in un villaggio sperduto, Macondo (caro a Giulia Adamo). Vede questa cosa, il treno, per la prima volta in vita sua, molla i panni e torna correndo in paese lanciando urla allarmanti. Devi avvisare tutti, ma non conosce la parola “treno”, nè qualcuno al villaggio ha idea di cosa sia. Non so se mi spiego. Deve raccontare una cosa che non ha mai visto. E allora lei dice questo: “Arriva - trovò il fiato di spiegare - un affare spaventoso come una cucina che si trascina dietro un paese”.
Alla politica, a quella parte politica uscita massacrata dalle elezioni, al Pd, manca proprio questo: lo stupore. La capacità, cioè di riconsiderare le cose, di cambiarle, di vederle con gli occhi di chi non sa dare un nome a quello che vede, e quindi deve immaginarle, per spiegarle agli altri. Nel chiuso del Quartiere Spagnolo, Di Girolamo e i pochi rimasti con lui, hanno presidiato il fortino, in nome di una superiorità morale, dimenticando che fuori c’era una città che chiedeva di essere ascoltata, immaginata, raccontata. Chi vuole ricominciare, da questa eredità, deve cominciare proprio da questo: azzerare tutto, cominciando dal linguaggio e dall’approccio, cominciare a stare nelle cose, anche nel fango.
Prendere fiato, e dare un nome al prossimo treno.
Giacomo Di Girolamo