di Marco Marino
In Elogio della letteratura lo scrittore Antonio Tabucchi ricorda un’interessante riflessione di Roland Barthes sul rapporto tra letteratura e scienza: «La letteratura», sostiene il semiologo francese nella sua lezione inaugurale al Collège de France del 7 gennaio 1977, «lavora negli interstizi della scienza: è sempre in ritardo o in anticipo su di essa, simile alla pietra di Bologna che irradia durante la notte ciò che ha immagazzinato durante il giorno e grazie a questa luce indiretta illumina il giorno a venire. La scienza è rozza, la vita è sottile, ed è per correggere questa distanza che la letteratura ci interessa». A queste considerazioni Tabucchi risponde che, sì, è vero, la vita è sottile, ma bisogna aggiungere che è anche insufficiente: «La letteratura offre di più rispetto a quello che la natura concede».
Sono echi, quelli di Barthes e di Tabucchi, che sopraggiungono incredibilmente nitidi mentre affronto la lettura della Piccola antologia della peste (Ronzani Editore, 2020), curata da Francesco Permunian, con i disegni di Roberto Abbiati. Il volume raccoglie gli interventi, in prosa e in poesia, di trentaquattro scrittori che si sono cimentati a raccontare il morbo che appesta il nostro presente, e la realtà che lo ha accolto e continua – per nostra sfortuna – ad accoglierlo. Le pagine di questa antologia sembrano le pareti di uno strano laboratorio in cui gli scienziati esaminano il virus con categorie e strumenti diversi da quelli scientifici: le lenti dei loro microscopi sono le lenti della letteratura, che, come diceva Barthes, lavorano negli interstizi e provano a correggere la distanza tra la rozzezza dei dati numerici e la sottigliezza delle nostre vite. Le lenti della letteratura, d’altronde, sono l’unica speranza che oggi riusciamo a riconoscere, convinti dalle parole di Tabucchi che la letteratura offra molto di più rispetto a quello che la natura concede, o impone. Come una vita semplice, o come un semplice virus.
Della Piccola antologia della peste - che vede coinvolti autori di incredibile talento, da Valerio Magrelli a Nino De Vita, da Dacia Mariani a Cristina Battocletti - abbiamo discusso con il suo curatore, Francesco Permunian. E abbiamo chiesto a Roberto Abbiati un commento sui disegni che animano il libro.
Permunian, come ha superato i mesi di lockdown, come ha risposto alla pandemia?
Con l’arrivo della pandemia, che ci creda o no, io ho continuato a fare esattamente ciò che ho sempre fatto: leggere e scrivere. Il virus non ha cambiato minimamente le mie abitudini quotidiane, che consistono nello starmene pervicacemente rintanato in casa con un libro in mano e un foglio su cui prendere appunti. E di appunto in appunto – ma soprattutto di lettura e rilettura - alla fine ne è nato una specie di zibaldone o pamphlet che uscirà a fine gennaio 2021 per le edizioni Italo Svevo col titolo Il rapido lembo del ridicolo.
Quali letture l’hanno accompagnata?
Sono state molte e diversificate. In particolare quella, alquanto corroborante, del saggio di Claudio Giunta sulla figura e le opere di Tommaso Labranca (Le alternative non esistono, il Mulino; ndr). Un intellettuale scomparso prematuramente e rapidamente “dimenticato” da quel circo mediatico ed editoriale milanese di cui lui stesso aveva fatto parte. Un mondo descritto e messo alla berlina con dolorosa lungimiranza: imperdibili, ad esempio, le considerazioni di Labranca sui cosiddetti “Cannibali” e, in genere, su quella generazione di giovani autori arrembanti che sul finire degli anni Novanta si affacciarono sulla scena letteraria con fiera baldanza: è incredibile come quegli ex ragazzi e quelle ex ragazze siano letterariamente invecchiati così in fretta! È stupefacente come proprio Labranca avesse previsto - con vent’anni di anticipo! - il loro rapido declino sul quale suggeriva di riderci sopra.
Quando è nata l’idea della Piccola antologia della peste?
L’idea mi è venuta spulciando il catalogo delle edizioni Ronzani che, nate a Vicenza quattro anni fa, hanno mantenuto nel tempo un eccellente standard editoriale, sia nella accuratezza della stampa che nella scelta dei titoli. Ne cito qualcuno, tanto per dare un’idea: Pasolini, Parise, Comisso, Nico Naldini … più tanta attenzione alla poesia e all’arte tipografica. Difficile per me, che amo i buoni libri, resistere a quel richiamo. E difatti un giorno ho preso il telefono e ho scambiato quattro chiacchiere con Beppe Cantele, il patron della Ronzani, proponendogli un’antologia sul tema Covid. Lui, Beppe, ha accolto subito l’idea raccomandandomi però di non superare le 200 pagine complessive, insomma che ne venisse fuori per l’appunto una “piccola” antologia …
Ecco, questo è un aspetto che mi incuriosiva molto. Nel titolo compare l’aggettivo “piccola”, nonostante siano stati coinvolti ben trentaquattro autori e il volume superi le trecento pagine.
Il fatto è che quando mi sono messo in cerca di romanzieri e poeti che partecipassero – gratuitamente – a tale progetto, un po’ alla volta si è sparsa la voce e si è creata una schiera che superava le cinquanta unità. Da cui ho poi selezionato quei 34 che alla fine sono entrati a far parte della ormai ex piccola antologia.
Il Coronavirus sta irrimediabilmente cambiando le nostre abitudini, i nostri stili di vita. Ma cambierà anche il modo con cui ci si approccerà alle storie, alla scrittura? Un primo esempio forse ci viene dato da Stephen King, che ha confessato di aver rivisto completamente il romanzo che stava scrivendo, retrodatandolo dal 2020 al 2019. Come se il 2020 fosse una sorta di anno zero da cui ripartire. Quindi le domande diventano due: la prima è come ci si approccerà alle storie, dopo il Coronavirus? E La seconda è: quando la letteratura sarà in grado di raccontarlo, il virus, la pandemia, le nostre paure?
Io posso rispondere solo per quanto riguarda me stesso, non per gli altri. E le confermo quanto le ho già detto poc’anzi e cioè che – virus o non virus – io non intendo assolutamente cambiare le mie abitudini. Né tantomeno il mio modo di vedere la realtà, ossia il mio mondo grottesco e visionario. Alla mia età, sa, ne ho viste tante di mode e correnti e “influssi” letterari o paraletterari … Tutta roba già vista e dimenticata, di cui nessuno più sente la necessità. Credo insomma che nessun scrittore degno di questo nome cambierà stile o scrittura perché il nostro pianeta è stato investito da un virus. Mi creda, la Letteratura – quella con la “elle” maiuscola – è più forte di qualsiasi virus e, come sosteneva Dostoevskij, alla fine la bellezza salverà il mondo.
Il contributo di Valerio Magrelli, Nuova teoria del caos: poesia con spiegazione allegata, cita il famoso “effetto farfalla” (il battito d’ali d’una farfalla a New York può provocare un tifone a Pechino). Prendendolo come modello, Piccola antologia della peste è un’opera che guarda il battito d’ali della farfalla da fuori o da dentro? Ne è un effetto? Oppure prova a registrare il fenomeno del virus restandone fuori?
Piccola antologia della peste è, in sostanza, una “registrazione d’eventi” (alla Roberto Roversi, per capirci) in presa diretta. Non è un’antologia scolastica, né tantomeno una selezione di autori dettata dai loro meriti letterari. Come ho scritto nella prefazione, essa è il tentativo di disegnare quella cartografia dell’angoscia e della speranza in cui versa attualmente l’Italia attraverso lo strumento della scrittura. Attraverso quell’incessante racconto da mille e una notte che, da secoli e secoli, ci salva dall’orrore.
Adesso passerei la parola a Roberto Abbiati. Mi piacerebbe tanto chiederle dei suoi disegni, che insidiano le pagine e i loro lettori. Le sue sono figure singolari, tutte insieme prendono l’aspetto di un bestiario scomposto e rammendato, cui manca sempre qualcosa. Com’è entrato, questo bestiario, nell’antologia? Come bisogna leggerlo?
Quando mi sono messo a pensare alle illustrazioni della Piccola antologia mi sono domandato cosa potesse essere un segno comune per tutti i racconti. Bisognava decidere se fare un’opera a sé o se illustrare come una didascalia quello che già era stato raccontato. Non me la sento di mettermi a disegnare le didascalie.
Ho pensato agli animali, agli animali sofferenti, o animali privati delle loro parti. Mi fanno gran simpatia i cani senza una zampa che trotterellano per strada, non si danno pensiero della loro menomazione. Restano cani comunque. Gli animali accettano e pazientano più degli esseri umani, e si adattano.
Ho disegnato animali che camminano senza una zampa, che volano senza un’ala e che guardano senza un occhio. Li ho disegnati come una speranza per gli esseri umani. Perché in questo momento quello che è difficile da fare è sostenere la speranza negli uomini.
** Piccola antologia della peste, Ronzani Editore, 2020, pp. 352, 18€