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03/01/2021 06:00:00

I veleni dell'antimafia. Borrometi, la deontologia, l'attentato e le mezze verità 

 “Lasciate ogni speranza voi che entrate” potrebbe essere il claim più appropriato ad accompagnare il Testo Unico dei Doveri del giornalista, ovvero il caposaldo della famigerata deontologia professionale. Almeno in questo caso.

«Un giornalista che fa semplicemente il proprio dovere ha una grande responsabilità che non è solo quella di fare bene il proprio lavoro. Ha anche un compito sociale fondamentale che è quello di informare i cittadini». Ad affermarlo è Paolo Borrometi nel video pubblicato a luglio 2019 sulla piattaforma dell’Ordine dei Giornalisti per il corso di formazione professionale “Giornalisti sotto scorta”. E ricordando il collega Giovanni Spampinato, vittima del terrorismo di estrema destra di cui dichiara di seguirne le orme, Borrometi ribadisce: «Nessuno di noi deve diventare, o deve essere o vuole essere un eroe. Dobbiamo semplicemente raccontare ciò che vediamo. Io penso che una delle questioni fondamentali sia proprio l’obbligo di informare». Tuttavia, incalza perentorio: «Non bastano le sentenze, non bastano le operazioni delle Forze dell’Ordine. Ci vuole quel pungolo che il giornalismo deve rappresentare, soprattutto in un momento storico come quello di oggi: il giornalismo come cane da guardia della democrazia, il giornalismo che pone domande scomode, il giornalismo che fa le pulci. Il giornalismo d’inchiesta, poi, ha una particolare peculiarità che deve essere portata avanti ancor più, con grande voglia di continuare a fare il proprio dovere».

Una posizione piuttosto opinabile quella di Borrometi che, detta al bancone di un pub davanti a un drink, avrebbe potuto suscitare l’ilarità temporanea degli astanti, possibilmente dimenticata il giorno dopo. Invece no! È la risposta data per buona a uno dei quesiti del corso di formazione tenuto da Borrometi, in barba all’articolo 2 della legge n. 69 del 3 febbraio 1963 per cui i giornalisti sono obbligati al rispetto della verità sostanziale dei fatti e alla rettifica delle notizie che potrebbero risultare inesatte.


Paolo Borrometi ricorda le minacce e le aggressioni che a suo dire avrebbe subito, come  quella del 16 aprile 2014, ovvero l’aggressione nella casa in campagna del padre a seguito della quale il giornalista si è domandato: «Potrei fare diversamente il mio lavoro rispetto a come lo sto facendo?». Da solo si da pure una risposta: «Io ho semplicemente guardato, ascoltato i cittadini, raccontato ciò che vedevo con i miei occhi, ciò che le mie orecchie ascoltavano. Quei fatti si sono poi puntualmente verificati: lo scioglimento del Comune di Scicli […], poi lo scioglimento del Comune di Vittoria […]». 

Riguardo lo scioglimento del Comune di Scicli si è interessata anche la Commissione Regionale Antimafia con risultati ed effetti non esattamente favorevoli rispetto all’operato giornalistico di Paolo Borrometi. Riguardo lo scioglimento del Comune di Vittoria, invece, il compianto Gianni Molè, Segretario Provinciale di Ragusa di Assostampa aveva tentato attraverso il Presidente della FNSI Beppe Giulietti di ricordare quei fondamenti di deontologia probabilmente sfuggiti alla memoria di Borrometi, sia privatamente che in una lettera aperta pubblicata su L’Opinione delle Libertà. Inutilmente, “perché solo gli imbecilli non possono stare dalla parte di Paolo”. 

Nel video del corso di formazione Borrometi ricorda dunque l’attentato incendiario presso la propria abitazione nell’agosto 2014 e anche l’autobomba a lui destinata: «È noto a tutti l’attentato scoperto il 10 aprile scorso (2018, n.d.r.) grazie all’opera attenta e fondamentale della Procura Distrettuale Antimafia e dei magistrati di Catania, degli inquirenti, della Polizia e dei Carabinieri di Siracusa. Il GIP di Catania scrisse, riportando quelle intercettazioni, che era pronta un’eclatante azione omicidiaria nei confronti del giornalista Paolo Borrometi. Un’eclatante azione omicidiaria che nei fatti doveva essere un attentato con autobomba», precisa il giornalista riportando le intercettazioni di Giuseppe Vizzini mentre riferiva ai figli un colloquio che avrebbe intrattenuto con Salvatore Giuliano: 


 

«…mi disse: “Lo sai che ti dico, Peppe? Ogni tanto, un ‘murticeddu’ (morto ammazzato, n.d.r.) vedi che serve per dare una calmata a tutti… ‘u murticeddu’ c’è bisogno così darebbe una calmata a tutti gli sbarbatelli, tutti i mafiosi malati di mafia, ‘u murticeddu’». 


 

«Questa è una parte delle parole dei boss di Pachino. Queste persone - sottolinea Borrometi - oggi sono tutte in galera. Il capomafia, il figlio sono anche loro a processo per minacce di morte aggravate dal metodo mafioso e violenza privata nei miei confronti».


 

Per Borrometi e nell’immaginario collettivo, il 10 aprile 2018 “si è scoperto un piano per un attentato omicida contro un giornalista”. Eppure, “l’ipotesi dell’autobomba costituisce un’interpretazione del giornalista, tutt’altro che campata in aria, ma comunque non suffragata da altri riscontri”: a metterlo nero su bianco è il Procuratore Distrettuale della Repubblica di Catania, il dott. Carmelo Zuccaro, in una relazione del 5 dicembre 2019 indirizzata alla Commissione Regionale Antimafia. Se, dunque, l’attentato di cui parla Borrometi nel corso della lezione di deontologia è una ‘ipotesi non suffragata da altri riscontri’, a rigor di logica non può dirsi scoperto alcun piano per un attentato omicida contro nessun giornalista. 


 

Quindi, la domanda sorge spontanea. È vero che Giuseppe Vizzini insieme ai figli Simone e Andrea, con Salvatore Giuliano e il figlio Gabriele sono “a processo per minacce di morte aggravate dal metodo mafioso e violenza privata” nei confronti di Paolo Borrometi per “l’eclatante azione omicidiaria” con autobomba? La risposta è negativa. L’Ordinanza di custodia cautelare disposta il 7 aprile 2018 dal GIP, la dott.ssa Giuliana Sammartino, riguarda l’attentato consumato ai danni dell’avvocato Adriana Quattropani nell’esercizio di curatore fallimentare di un distributore di benzina. Nel procedimento in questione Paolo Borrometi non risulta in alcun modo persona offesa, né tanto meno le indagini preliminari hanno riguardato neppure velatamente la persona fisica e la sua figura di giornalista.


 

Intanto, anche l’Ordine dei Giornalisti rilancia e sostiene le tesi di Borrometi insieme all’FNSI. Un comunicato stampa del 2018 pubblicato sul sito dell’Ordine titolava: “Mafia, il boss intercettato: «Ammazzate Borrometi»Domani, mercoledì 11 aprile conferenza stampa in FNSI”. Comunicato contestato dal legale dei Giuliano, l’avvocato Giuseppe Gurrieri


 

Avvocato, quando si è accorto del comunicato pubblicato sul sito dell’Ordine dei Giornalisti ha inoltrato una richiesta di rettifica. Cosa contestava esattamente nel contenuto del comunicato?

«Il 3 maggio 2020, essendomi accorto qualche giorno prima della presenza del citato articolo e dopo aver concordato il contenuto con il mio assistito Giuliano Salvatore, ho inviato alla PEC istituzionale dell’Ordine nazionale dei giornalisti una comunicazione avente ad oggetto “Richiesta di rettifica ai sensi dell’art. 8 legge 47/1948”. Sin dal titolo, contiene affermazioni che riguardano la persona del Giuliano Salvatore che non risultano corrispondenti al vero e che non danno contezza di fatti che avrebbero dovuto essere necessariamente inseriti nel testo. Viene affermato che “Per queste (nuove) minacce quattro persone sono state arrestate oggi”. Tale dato è palesemente falso in quanto gli arresti sono avvenuti per i reati di violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato e detenzione e porto di materiale esplodente, con la precisazione che il pubblico ufficiale ritenuto persona offesa è il curatore di una procedura fallimentare e non Borrometi. Borrometi non figura come persona offesa dal reato in alcun atto giudiziario dell'operazione cui si riferisce l'articolo in questione pubblicato dall’Ordine dei Giornalisti. L’affermazione secondo cui il Sig. Giuliano Salvatore avrebbe pronunciando la frase “Fallo ammazzare, ma che c….o ci interessa”, così da ‘dare l’ordine di uccidere’ Borrometi, è destituita di ogni fondamento. Basta dire che gli investigatori nulla scrivono in merito a tale grave proposito criminoso che viene invece, per onor del vero, riportato nella ordinanza di applicazione della misura cautelare dal Giudice che l’ha emessa. Nonostante questo, Giuliano Salvatore non è stato mai indagato o imputato per tali fatti, come per altro nessuno dei soggetti coinvolti nella indagine e destinatari del provvedimento di arresto, che devono rispondere di altri reati che nulla hanno a che vedere con Borrometi, il quale non figura come persona offesa dal reato. Assolutamente priva di fondamento la frase riportata nell’articolo secondo cui “Per queste minacce sono stati arrestati i due boss e altre due persone”. Ho ribadito all’Ordine dei Giornalisti che Giuliano Salvatore non è stato arrestato nel corso di tale operazione, non ha mai rivolto minacce di morte a Borrometi, non ha mai dato ordine di uccidere alcuno, men che meno il Borrometi. Le frasi riportate nel corpo dell’articolo riguardanti una conversazione avvenuta tra il Vizzini Giuseppe ed i suoi figli, non vede come interlocutore Giuliano Salvatore, né può dirsi che siano parole che lo stesso abbia pronunciato realmente.  Risulta poi frutto di una errata interpretazione il fatto che il destinatario del piano omicida descritto dal Vizzini sia Borrometi in quanto non si comprende in quale categoria questi debba rientrare tra i citati ‘sbarbatelli, mafiosi e malati di mafia’. E, soprattutto, non si comprende per quale ragione si sarebbe dovuto organizzare un piano per uccidere il giornalista a Pachino, in un luogo che lo stesso frequenta con cadenza meno che rara».

L’Ordine dei Giornalisti ha dato seguito alla sua richiesta di rettifica?

«Sino alle ore 22 del 30 dicembre posso affermare con certezza di non avere ricevuto alcuna comunicazione da parte dell’Ordine nazionale dei giornalisti, né mi risulta che il detto articolo sia stato rimosso, modificato e né che sia stata aggiunta in calce la mia comunicazione di rettifica. Personalmente lo ritengo grave e non nascondo il mio dispiacere nel constatare una così grave e ingiustificabile omissione nel riscontrare la mia richiesta, anche contestandola, stante l’importanza di un organismo di rilevanza nazionale che dovrebbe essere vessillo della corretta informazione».

Salvatore Giuliano è attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza di Sassari. Quali reati gli vengono contestati e in quale procedimento? Paolo Borrometi risulta tra le persone offese?

«Giuliano è detenuto ininterrottamente dal 25 luglio 2018 e dal febbraio 2019. È anche sottoposto alla misura del c.d. carcere duro, ovvero il regime di detenzione previsto dall’art.41-bis della legge sull’ordinamento penitenziario che prevede la sospensione dell'applicazione delle regole di trattamento ordinario, con conseguente applicazione di restrizioni necessarie per il soddisfacimento di esigenze contenitive finalizzate ad impedire i collegamenti tra il detenuto e gli altri membri dell'associazione cui il detenuto farebbe parte. I reati che gli vengono imputati sono più di uno, principalmente è accusato di essere a capo di una associazione di tipo mafioso che prende il suo nome, gravitante nell’ambito territoriale di Pachino e Portopalo, nonché di numerosi reati fine sempre connessi alla appartenenza mafiosa, quali estorsioni, tentate estorsioni e intestazione fittizia di beni.In nessuna delle ipotesi di reato che gli vengono contestate figura il Borrometi Paolo quale persona offesa».

 

Salvatore Giuliano e il figlio Gabriele sono attualmente a processo per diffamazione e minacce aggravate dal metodo mafioso nei confronti di Borrometi per alcuni commenti sui social a seguito di un articolo a firma del giornalista circa la mappatura dei clan mafiosi attivi tra Ragusa e Siracusa. Questo processo, in cui l’Ordine dei Giornalisti, l'FNSI e Assostampa si sono costituiti parte civile, ha a che vedere qualcosa con l’ipotesi dell’attentato con autobomba? 

«In un altro e differente procedimento Giuliano Salvatore ed il figlio Gabriele risultano accusati dei reati di tentata violenza privata, minacce e diffamazione. Tutti i reati sono ritenuti dalla Procura distrettuale di Catania, essere stati commessi “avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza al sodalizio criminoso denominato clan Giuliano”.  Nel procedimento figurano ritualmente costituite quali parti civili sia il Borrometi Paolo, destinatario diretto dei reati, che il Consiglio Nazionale Ordine dei Giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Associazione Siciliana Stampa. Con assoluta certezza posso affermare che in nessun atto ufficiale viene nemmeno accennata l’ipotesi di attentato con autobomba nei confronti del giornalista Borrometi, né contro qualsiasi altra persona. Purtroppo, per troppo tempo Borrometi ha diffuso tale notizia che è palesemente falsa dichiarandolo nel corso di moltissime trasmissioni televisive, dichiarandolo anche al Pontefice che, a suo dire, si è detto dispiaciuto e addirittura già a conoscenza di tali fatti.  Onestamente non trovo parole per commentare tali affermazioni e mi affido al buonsenso di tutti. Serenamente posso affermare che nemmeno la Procura distrettuale di Catania, che ha condotto le indagini, ha mai dato corso ad alcuna affermazione circa l’ipotesi di preparazione di un attentato omicidiario ai danni di Borrometi, contrariamente alla Giudice Dott.ssa Sammartino che nel corpo dell’ordinanza applicativa della misura cautelare si avventura ad affermare che contro Borrometi era in corso il preparativo di una eclatante azione omicidiaria, senza però mai riferire che tale azione doveva concretizzarsi per mezzo di una autobomba».

Cosa, in particolare, avrebbe scatenato le reazioni dei suoi assistiti nei confronti di Paolo Borrometi?

«Tutto nasce dalla pubblicazione di un articolo sul giornale online “La Spia” dell’agosto 2016, dove si parla di Giuliano Salvatore quale uno dei reggenti in carica dello storico clan Trigila di Noto. L’articolo è anche corredato da una foto che ritraeva il Giuliano durante un ricevimento di nozze di una parente, sullo sfondo apparivano pure due altri soggetti, il cui volto è stato successivamente oscurato. Il contenuto dell’articolo ha suscitato una reazione che non mi nascondo a definire scomposta da parte di Giuliano ma che in parte comprendo perché questi viene personalmente descritto quale reggente di un sodalizio mafioso a cui Giuliano non è mai appartenuto e che anzi: per come emerge da Sentenze irrevocabili pronunciate già negli anni 90, era in netto contrasto con il vissuto penalmente rilevante del Giuliano.  Altro aspetto di maggiore importanza è sicuramente quello relativo al fatto che sempre nello stesso articolo si afferma che anche i congiunti di Giuliano sono a conoscenza delle dinamiche del clan Trigila. Fatto, questo, che ovviamente li ha esposti a serio pericolo, facendoli oggetto di possibili azioni di vendetta da parte di altri soggetti in contrasto con il clan Trigila di Noto, quando invece tutti i congiunti di Giuliano risultano pienamente estranei ad ogni azione illecita, mai condannati per fatti illeciti, né mai addirittura nemmeno indagati per fatti inerenti reati associativi mafiosi. Non mi spiego perché il giornalista Borrometi continui ad affermare che Giuliano Salvatore e il figlio Gabriele sono oggi imputati per averlo minacciato di morte, aggiungendo a sproposito, pur sapendo che non è vero, quel “di morte” che suona come una inutile aggiunta finalizzata non so a che cosa quando invece l’imputazione nulla dice circa la riferita minaccia “di morte” che agli atti appunto non figura».

 

Darete seguito al diritto di rettifica disatteso dall’Ordine dei Giornalisti?

«Certamente. Quando sarà il momento processuale per farlo, produrrò al Tribunale la documentazione attestante l’invio della richiesta e l’Ordine nazionale dei giornalisti, che in quel processo è parte civile, credo dovrà dare atto al Tribunale della mancata risposta. Successivamente, ritengo sarà utile avvisare formalmente di quanto accaduto il Ministero della Giustizia che ha una funzione di controllo in capo al Consiglio Nazionale dei Giornalisti, demandando ogni altra determinazione agli uffici del Ministero circa l’operato del Consiglio Nazionale di categoria».