Virtuale è anche reale. Le parole scritte sui social hanno un peso. Anche quando le scriviamo sulle nostre bacheche, e pensiamo di parlare ad un pubblico ristretto o al bar con amici (quando si poteva ancora andare al bar).
A volte si crede che ciò che avviene sui social, lì resta e lì si esaurisce. Non è (del tutto) così. E lo dimostrano anche i fatti di qualche settimana fa, a Washington, con i seguaci di Donald Trump che aizzati sui social hanno fatto irruzione al Congresso. O guardando più vicino a casa nostra, la tragica morte di una bambina siciliana di soli 10 anni per una sfida su TikTok.
Virtuale è reale, dicevamo. E in questo contesto anche il concetto di privacy è molto più esteso. Vediamo ogni giorno post sui social che diventano virali e che fanno notizia, sia di personaggi pubblici che di “perfetti sconosciuti”. E’ quello che è successo qualche giorno fa, e di cui Tp24 ha dato notizia. I fatti sono questi. Al Cafè Micael, in zona Strasatti a Marsala, c’è stato un furto. Qualcuno è entrato nella notte e ha fatto man bassa, incurante delle telecamere della videosorveglianza. Il fratello del titolare del bar pubblica un post su Facebook, con un frame del video del ladro in azione. E scrive: "Pur non vedendosi bene ho voluto fare sapere che siamo video sorvegliati e d'ora in poi pure armati. La legge ce la facciamo noi!".
Poi rivolgendosi all'autore del furto: "Presto pubblicheremo tutto il video. Chi ti conosce già ti può avvisare".
Il post è questo in basso.
Il post comincia a circolare subito su Facebook, diventa virale. Arriva nella bacheca della nostra redazione pur non avendo il signor Di Gaetano tra gli “amici”. Sono due notizie. Il furto, in un periodo di forte crisi per i bar e di crescita degli episodi di questo genere a Marsala. E poi c’è anche la reazione, dei titolari che sono pronti a farsi giustizia da soli.
Bene. Questi i fatti. Qualche giorno dopo scrive a Tp24 l’avvocato del signor Di Gaetano sostenendo che nel lavoro della redazione ci sia stata una violazione della privacy nei confronti del suo assistito. Nel dettaglio il legale sostiene che un post su facebook costituirebbe un “dato personale” e che non ne sarebbe permesso il suo utilizzo quando l’autore veicola quel messaggio alla cerchia ristretta di amici e senza il suo consenso. In più l’avvocato giustifica quel post come un momento di “rabbia” uno sfogo dell’autore dopo dei fatti, certamente, riprovevoli.
Bene, al di là delle richieste dell’avvocato, è bene mettere alcuni punti, a proposito di privacy sui social e del ruolo dell’informazione. E’ chiaro che un post, reso pubblico volontariamente su Facebook, non si può ritenere un “dato personale”. Ciò che scriviamo sui social diventa pubblico, circola tra i nostri contatti, tra i contatti dei contatti, e può diventare virale, appunto. Con il concetto di privacy e di dato personale che si estende già dal primo “like”. Soprattutto se, come i fatti contenuti in quel post, sono di un certo interesse. Se fanno notizia, insomma.
Sull’utilizzo di un post in un giornale, poi, come ha fatto Tp24, bisogna dire anche che il Garante della Privacy consente all’attività giornalistica, proprio per l'importanza del ruolo che riveste soprattutto in una comunità ristretta, di utilizzare e divulgare dei dati, post, dichiarazioni, fatte sui social, senza il consenso di chi l'ha pubblicato. Il tutto sempre, ovviamente, rispettando i limiti del diritto di cronaca. E in questo caso si trattava di un fatto di interesse pubblico: un noto bar, un post pubblico e di un certo tenore, diventato virale, un furto che si unisce ad altri che hanno scosso la comunità in città (tant’è che diversi cittadini hanno chiesto più controlli).
Si parla di privacy e dati personali, di parole “rubate”. Ma oggi, nel bene e nel male, i social sono una piazza. Un urlo può creare panico, uno schiaffo può creare una rissa. E ciò che succede sui social, ciò che è virtuale non resta lì.