Il pm della Dda Pierangelo Padova aveva invocato la condanna a venti anni di carcere per il 58enne mazarese Matteo Tamburello, imputato per associazione mafiosa e violazione della sorveglianza speciale.
Il Tribunale di Marsala, però, ha sentenziato che l’assoluzione dall’accusa di mafia (“il fatto non sussiste”), condannando Tamburello a due anni e mezzo di reclusione soltanto per il reato minore. Ad emettere la senza è stato il collegio presieduto da Lorenzo Chiaramonte (giudici a latere Pizzo e Alagna). Poi, i giudici, accogliendo la richiesta dell’avvocato difensore Luigi Pipitone, che per l’assoluzione dal reato più grave ha espresso grande soddisfazione, hanno ordinato la scarcerazione di Tamburello.La difesa aveva ricusato il Tribunale, in diversa composizione, che poi si è astenuto, in quanto aveva espresso valutazioni nella sentenza Visir nei confronti di Tamburello, che sostanzialmente anticipavano il giudizio.
Per Tamburello è stata disposta solo la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel comune di residenza. Ma l’avvocato Pipitone farà ricorso.
Secondo l’accusa, dopo l’uscita dal carcere, a fine novembre 2015, Matteo Tamburello si sarebbe mosso per riorganizzare gli assetti del mandamento mafioso di Mazara, al cui vertice, nel frattempo, sarebbe assurto Dario Messina. “Le indagini sul mandamento mafioso di Mazara – scrivono i carabinieri del Ros - hanno permesso di individuare la fase riorganizzativa degli assetti di vertice, fornendo importanti elementi sulla sua collocazione baricentrica nelle relazioni criminali nella Sicilia occidentale”.
A ricoprire un ruolo di vertice sarebbe stato, secondo l’accusa, proprio Matteo Tamburello, dopo aver finito di scontare una precedente condanna a 9 anni per mafia, anche se la guida della “famiglia” di Mazara era stata affidata a Dario Messina.
Tamburello, quindi, sempre secondo Dda e carabinieri, avrebbe ricoperto un ruolo di rilievo che lo portava ad intrattenere incontri riservati con esponenti di primo livello dell’organizzazione mafiosa. Ciò mentre lavorava, ufficialmente come semplice operaio, in una cava di tufo. Avrebbe voluto, inoltre, investire nel business delle energie alternative e in particolare nell’eolico.
Nel corso del processo, l’avvocato Luigi Pipitone è riuscito a dimostrare che Tamburello, dopo essere uscito dal carcere, non sarebbe tornato ad operare in seno al contesto mafioso mazarese e che l’intercettazione in cui sembrava che avesse detto “Vito Coffa”, riferendosi al defunto capomafia Vito Gondola, in realtà diceva “Nino Pompa”, che era un suo ex dipendente.
“E che non disse Vito Coffa – sottolinea l’avvocato Luigi Pipitone – è stato stabilito da ben due perizie”.
Il processo a Tamburello è scaturito dall’operazione “Eris” dell’11 dicembre 2018, quando, a seguito delle perquisizioni effettuate dai carabinieri, furono arrestati, per detenzione illegale di armi, Giovanni Como, fratello di Gaspare, cognato di Matteo Messina Denaro, e l’imprenditore mazarese Diego Vassallo. Detenevano illegalmente due pistole, una Baby Browning calibro 635 con 5 colpi nel caricatore e un revolver calibro 22 con 20 cartucce. Tra le diverse abitazioni allora perquisite, anche quelle dell’ex deputato regionale socialista Enzo Leone e di Maria Guttadauro, nipote di Messina Denaro. “Dopo essere stato scarcerato – ha detto Matteo Tamburello quando è stato ascoltato nel corso del processo – chiedevo lavoro a tutte le persone che incontravo. Avendo moglie e figli, non potevo sempre andare a chiedere denaro a mia madre. Alle mie richieste, però, non avevo riscontri. Mi dicevano: ‘Ora vediamo…’, ma vista la mia situazione nessuno di dava lavoro. Solo uno mi disse apertamente che non mi dava lavoro per i miei guai con la giustizia, Fabrizio Vinci (il 10 maggio 2017 arrestato nell’operazione antimafia “Visir”). Vinci ridendo mi disse: ‘Mi vuoi rovinare? Con tutti i problemi che hai avuto…’. Io ero disposto anche a lavare i piatti. La mia situazione economica era disastrosa. Poi, nell’agosto 2016, trovai lavoro come manovale in una cava di tufo di contrada San Nicola gestita da Agostino Evola”.
Per gli inquirenti, però, Tamburello sarebbe stato il vero proprietario della cava, ma l’avvocato difensore Luigi Pipitone è riuscito a far cadere l’accusa di intestazione fittizia prima dell’avvio del processo.