Il migliore di tutti.
“In questo settore è il re, non lo può fottere nessuno”.
A parlare di John Calogero Luppino, punto di riferimento nell’ambito delle scommesse e delle slot machine è Dario Messina, ritenuto a capo della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo.
Ne parla con un altro affiliato, Bruno Giacalone, entrambi arrestati nell’operazione Annozero dell’aprile 2018. E secondo Messina, Luppino è il migliore anche per un altro motivo.
MESSINA: Questo picciotto lo sai che ha fatto, Bru?
GIACALONE: Eh
MESSINA: Ha saputo che mio padre aveva la casa all’asta, mai… io non ho mai chiesto cortesia da lui
GIACALONE: Chi, questo picciottello?
MESSINA: Sì… non ho mai chiesto cortesie, niente! Un giorno mi ha visto e mi ha detto: “Che fai?”, gli ho detto: “Niente, stiamo combattendo perché c’è all’asta la casa di mio padre”… dice: “Quando ce l’ha l’asta?” ed io gli ho detto la data. La settimana prima mi chiama: “Che fa, ti vieni a prendere il caffè?”, gli ho detto: “A posto? … inc. …” dice: “No, avevo bisogno di parlarti”, mentre arrivo là e mi ha fatto trovare una busta, dice: “Mi posso permettere di fare un regalo a tuo padre?” … (bisbiglia prob. la cifra)
GIACALONE: Mi!
MESSINA: Gli dici a tuo padre che è un regalo che gli voglio fare, glielo posso fare? Dice: “C’è offesa?”, gli ho detto: “No, offesa no però…”. Per farti capire la persona.
Secondo gli inquirenti però, il rapporto tra Calogero John Luppino e Dario Messina andava oltre il favore personale. Quest’ultimo, dall’impegno politico di Luppino, sperava di ricavarne anche un appoggio per Cosa nostra, come emerge da una conversazione intercettata in cui dice alla moglie:
“Il prossimo anno lo mettiamo alle regionali a Calogero…”.
E quando la moglie eccepisce che “lui non è capace neanche di parlare in italiano”, Messina sembra avere le idee chiare:
“Non me ne fotte un cazzo, basta che entra … e poi gli diciamo noi come deve parlare…”.
Ne è sicuro, anche perché aggiunge che “un pozzo do cristiani stanno facendo la cita per fare entrare a qualcuno alla regione Sicilia, perché il ponte si farà, tra Reggio Calabria e la Sicilia”.
Insomma, per diventare il re, Luppino avrebbe dimostrato la sua concreta vicinanza alla cosca di Castelvetrano, a quella di Campobello e a quella di Mazara.
Ed in questo modo la sua attività è andata avanti in regime di monopolio: tu mi proteggi e mi spiani la strada, io condivido con te i miei “guadagni”.
Questa storia, almeno come è stata riportata dagli investigatori, ci insegna diverse cose.
Che la mafia può essere vista anche come una specie di “mutuo soccorso” e, se ci si sceglie un settore dove si è “bravini”, si può fare tanta strada (prima di finire arrestati);
che questa storia infinita del ponte sullo Stretto interessa più a Cosa nostra che ai cittadini;
e che per fare il politico non è necessario essere capaci di parlare in italiano.
Anche se di questo forse ce n’eravamo già accorti.
Egidio Morici