Ci sono misteri su Matteo Messina Denaro che, più che alla sua latitanza, sembrano collegati alla sua caccia.
Più di una procura è impegnata, a diverso titolo, nella sua ricerca. E c’è da chiedersi se proprio questa specie di rivalità tra “cacciatori” possa in realtà essere l’ossatura di una vicenda complessa, che si sta svolgendo proprio in questo momento e di cui in pochi sembrano accorgersi.
C’è un signore di 76 anni in carcere, a Catanzaro. Era stato arrestato dalla procura di Palermo nell’aprile del 2019 e condannato in primo grado a sei anni.
Si tratta di Antonio Vaccarino, accusato di aver ricevuto da un colonnello dei Carabinieri in servizio alla Dia di Caltanissetta (Marco Alfio Zappalà) uno stralcio di una intercettazione che avrebbe poi girato a Vincenzo Santangelo, titolare di un’agenzia funebre, con una vecchia condanna per mafia.
Ci siamo occupati del caso in diversi approfondimenti su Tp24.
Vaccarino soffre di “cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa e aritmia per fibrillazione atriale persistente”. E pochi giorni fa, a causa di un grosso focolaio scoppiato all’interno del carcere di Catanzaro, ha preso anche il Covid.
Gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo hanno chiesto i domiciliari, ma la Corte d’appello competente ha detto no: l’istanza è stata rigettata con l’ordine di trasferire il detenuto presso un altro carcere che possa garantire la cura del covid e l’assidua attività di controllo clinico necessaria.
Insomma, una specie di carcere anticovid, immune ai focolai e senza problemi di sovraffollamento.
Se esistesse, sarebbe davvero una notizia.
In questa strana “guerra”, secondo la procura di Caltanissetta, Vaccarino è utile per capire il ruolo di Matteo Messina Denaro nelle stragi di mafia. Mentre per la procura di Palermo, l’ex sindaco di Castelvetrano vorrebbe soltanto avvantaggiare la cosca. Tra l’altro servendosi, così sostanzialmente dice l’accusa, del materiale fornito dal colonnello Zappalà della Dia di Caltanissetta (arrestato insieme a lui nell’aprile 2019), attualmente ai domiciliari.
Vaccarino nei primi anni del 2000, aveva collaborato con i servizi segreti per catturarlo. Era entrato in contatto con Matteo Messina Denaro, attraverso i classici pizzini, ma dopo l’arresto di Provenzano del 2006, la cosa si venne a sapere e il boss non la prese bene.
Come tutti sanno, l’ultimo pizzino che gli inviò (anzi, era proprio una lettera firmata col suo vero nome e cognome), non era proprio un’attestazione di stima: “...Ha buttato la sua famiglia in un inferno... la sua illustre persona fa già parte del mio testamento... in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti.”
E qui c’è un altro piccolo mistero.
Quella minaccia lapidaria inviata il 15 novembre 2007, infatti, è solo un estratto della lettera completa. Una lettera che è stata nascosta all’opinione pubblica per 12 anni (e che abbiamo pubblicato in esclusiva su Tp24, nel settembre del 2019), in cui per la prima volta Matteo Messina Denaro parla di mafia e di mafiosi; della differenza tra “i buoni” e “i più forti”.
E soprattutto parla dell’ex pentito Vincenzo Calcara.
Calcara è il controverso collaboratore di giustizia sulle cui dichiarazioni si basò la condanna per droga a 5 anni contro Vaccarino nel 1997.
Nella lettera il boss ne parla in modo contraddittorio.
Sì, perché la passata condanna dell’ex sindaco viene considerata dal capomafia “una delle pagine più ingiuste della giustizia italiana, poiché si basava sul mendacio di un volgare e spregiudicato mentitore”. Il riferimento a Calcara è evidente.
Ma nello stesso tempo, scrive:
“Le ricordo, nel caso l’avesse scordato, stante l’apparente crisi mistica che lo ha colpito, che lei è il mandante dell’assassinio del sindaco Vito Lipari (ucciso il 13 agosto 1980, ndr), è stato lei che lo ha voluto morto a tutti i costi ed a decretarne la morte”.
Ma questa è proprio una delle accuse principali che in passato il Calcara aveva rivolto a Vaccarino, della quale, per altro, non ci fu mai alcun riscontro.
Anche Calcara è visto in modo diverso dalle procure. Se quella di Palermo gli attribuisce una qualche attendibilità, per quella di Caltanissetta è un “inquinatore di pozzi”.
Il procuratore Aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, proprio nella requisitoria al processo in cui Messina Denaro è stato condannato come uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio, aveva definito Calcara un “collaboratore di giustizia eterodiretto”.
E ad allungare le ombre su indagini e depistaggi, si aggiunge un inquietante episodio avvenuto un mese fa, il cui protagonista è proprio l’ex pentito Calcara.
Il contesto è un’udienza di un processo ad Agrigento, scaturito da una querela per diffamazione contro Gian Joseph Morici che in un articolo aveva descritto il Calcara come “omertoso e reticente”.
Ad un certo punto, l’avvocato Santino Russo chiede all’ex pentito se “avesse commesso ulteriori omicidi oltre quello di Francesco Tilotta, al quale aveva truffato un milione di vecchie lire, e per la cui uccisione ha già scontato una pena a 15 anni di carcere”.
Lui ha risposto di sì: “Enzo, spara! – E ho sparato”.
A riportare questa circostanza è Giuseppe Ciminnisi, coordinatore nazionale dell’associazione “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”.
L’avvocato Russo poi gli chiede anche se “è mai stato indagato per questo omicidio”.
E calcara risponde “no”.
L’ex pentito, aggiunge Ciminnisi, “in aula ha fatto riferimento al trasporto di una cassa dalla Calabria alla Sicilia, che secondo le sue supposizioni probabilmente avrebbe contenuto l’esplosivo destinato all’attentato al Giudice Borsellino”.
Un fatto, anche questo, che Ciminnisi considera inedito, “del quale non risulta ne avesse riferito in precedenza ai magistrati affinché potessero sviluppare indagini per risalire a chi fornì l’esplosivo per l’attentato di Via D’Amelio”.
Se, dopo quasi trent’anni, “dei collaboratori di giustizia, oltre al falso pentito Scarantino – conclude Ciminnisi - hanno taciuto o mentito sulle responsabilità di chi volle le stragi; se hanno taciuto per decenni delitti commessi o la partecipazione ad altri reati dichiarandoli soltanto adesso in un’aula giudiziaria, sarebbe incomprensibile se non si volesse procedere alle opportune verifiche e alle determinazioni consequenziali.”
Ma a chi sparò Calcara? E chi gli disse “Enzo, spara!”?
Mistero. E siccome è un processo per diffamazione, l’argomento esulerebbe dal reato trattato. E quindi no, non glielo si può chiedere.
Ma prima o poi una risposta dovrà pur darla. Visto che in passato, al processo Rostagno, questo ulteriore omicidio era già spuntato. Anche lì, senza un approfondimento.
Intanto Vaccarino rimane recluso a Catanzaro.
Nessun omicidio, estorsione, incendio, danneggiamento, appartenenza alle cosche…
E’ difficile non ripensare alle terribili parole dell’ultima lettera di Matteo Messina Denaro: “...Ha buttato la sua famiglia in un inferno...”.
E non è forse un inferno per moglie e figli, avere un padre anziano e malato, abbandonato in carcere?
Egidio Morici