L’ergastolo ostativo, che impedisce ai condannati per reati per reati molto gravi di ottenere i benefici se si rifiutano di collaborare con la giustizia, è incompatibile con la Costituzione. Lo ha stabilito ieri la Corte costituzionale, che ora dà un anno di tempo al Parlamento per modificare la legge e risolvere il problema.
Secondo i giudici, vincolare alla sola collaborazione, come unica via, il recupero della libertà contrasta con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ossia il principio di eguaglianza tra tutti i cittadini, il divieto di pene disumane e il postulato che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.
La legge, entrata in vigore, dopo le stragi di Falcone e Borsellino, è stata estesa ai reati di terrorismo nel 2002, all’indomani dell’omicidio del giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle nuove Br. L’ergastolo ostativo non riguarda quindi i condannati per stragi o agguati degli anni di piombo. Attualmente su circa 1.700 detenuti, che scontano in carcere l’ergastolo, sono 1.271 le persone che, per non avere collaborato, si vedono negare i benefici. Tutti condannati per reati particolarmente gravi, come i sequestri di persona ascopo di estorsione. Tra loro ci sono Giovanni Riina, figlio del capo dei capi di Costa Nostra e Leoluca Bagarella, finito in carcere nel 1995, ma anche
Michele Zagaria, capo clan dei Casalesi, e Giovanni Strangio, affiliato alla ndrangheta e arrestato nel 2009. Dei pochi terroristi fanno invece parte Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi e Marco Mezzasalma scontano una pena ostativa, proprio per l’omicidio Biagi e per quello dell’agente Emanuele Petri, ucciso nel 2003 al momento dell’arresto della Lioce. Ma per loro, che difficilmente chiederebbero di accedere ai benefici, non sono maturi neanche i tempi.
"L'ergastolo ostativo era ed è l'architrave della legislazione antimafia italiana. Quanto stabilito dalla Corte Costituzionale non deve agevolare alcun colpo di spugna su norme che hanno consentito finora di contrastare in maniera efficace il fenomeno mafioso nel nostro Paese". Lo dichiara Catello Maresca, sostituto procuratore generale di Napoli. "Le questioni di legittimità accolte dalla Corte di Cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell'ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia - spiega Maresca - meritano una risposta adeguata e veloce del legislatore. Bisogna tenere in considerazione certamente la sensibilità espressa dalla Consulta, ma non si può dimenticare che l'eradicazione del cancro mafioso dal nostro Paese è una priorità assoluta per il futuro dei nostri figli. Vanno studiati percorsi tecnici e norme che devono inserirsi senza far danni nell'attuale sistema di norme di contrasto alla criminalità organizzata. Norme che sono state scritte col sangue di centinaia di imprenditori, poliziotti, carabinieri, finanzieri, magistrati, cittadini comuni, uccisi perché non hanno mai piegato la schiena davanti ai mafiosi. Non più automatismo tra la mancata collaborazione e l'ergastolo ostativo, ma percorsi seri di analisi e vaglio della pericolosità dei detenuti. Sicurezza pubblica e rieducazione sono valori che possono anzi devono coesistere", conclude Maresca.
“Scandalosa la decisione della Corte costituzionale sull’ergastolo ostativo. Fratelli d’Italia lavorerà fin da subito in Parlamento per scongiurare che questa norma sia considerata incompatibile con il nostro ordinamento. Mi auguro che tutte le forze politiche siano al nostro fianco per impedire questo oltraggio senza precedenti alle vittime di mafia e ai tanti servitori dello Stato caduti nella guerra alla criminalità organizzata”. Lo afferma Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia.
Per il senatore del Pd Franco Mirabelli, capogruppo dem in commissione Antimafia, la sentenza «si fonda su ragioni forti ma allo stesso tempo riconosce la necessità di intervenire per impedire che il rispetto di principi di civiltà giuridica indebolisca la lotta alla mafia». Per questo, aggiunge, «vanno introdotte norme rigorose che impediscano a chi mantiene rapporti con le mafie sul territorio di godere dei benefici senza violare la Costituzione. Serve riconoscere insieme la funzione riabilitativa della pena ma anche la pericolosità eversiva delle mafie».
Il costituzionalista e deputato Pd Stefano Ceccanti, Presidente del Comitato per la Legislazione, allarga la riflessione, sottolineando come la decisione della Consulta «si inserisce in una serie di pronunce su temi molto delicati in cui la Corte costituzionale vuole riaffermare il primato dei principi costituzionali ma anche, al tempo stesso la necessità di una decisione parlamentare in tempi ragionevoli che sia capace di tenere conto di esigenze diverse». Ora, aggiunge, si apre una questione «più complessiva, quella del seguito da dare in Parlamento alle decisioni della Corte e, nello specifico, a decisioni di questo tipo, che danno alcune indicazioni e un termine preciso».