C’è un punto zero nell’inchiesta che ha portato a scoprire lo scandalo dei dati falsi sul Coronavirus in Sicilia.
Un punto da cui è partito tutto. Ed è esattamente ad Alcamo, il laboratorio finito sotto indagine per alcuni tamponi con risultati sbagliati e prezzi, secondo l’accusa, troppo alti. Il caso ha portato poi la procura di Trapani ad allargare lo sguardo, a cercare di capire come funzionasse il tracciamento e ancora le comunicazioni dei dati. Per poi scoprire che i dati gestiti dal Dasoe sarebbero stati truccati, con tre arresti ai domiciliari, e l’avviso di garanzia per l’ex assessore alla Salute Ruggero Razza.
Ma dicevamo del punto zero, o meglio, del paziente zero.
Perchè tutto comincia da un tampone risultato negativo su un paziente che poi si è scoperto essere positivo al Covid. Un tampone analizzato proprio da quel laboratorio di Alcamo.
Il paziente zero
E’ la sera del 17 settembre 2020, Alcamo. Un uomo di 58 anni ha mal di testa e febbre, prende un antipiretico. L’indomani la febbre sale, dolori in tutto il corpo, il medico consiglia di fare il tampone. L’uomo vive con la moglie e la cognata che inizia ad accusare gli stessi sintomi, stessa cosa per i figli della coppia. Tutta la famiglia ha certamente il covid. Vanno nel laboratorio di analisi di Alcamo. Un tampone molecolare costa 100 euro, troppi, fa il test solo l’uomo. Dopo qualche giorno l’esito: negativo, tirano un sospiro di sollievo. Ma le condizioni dell’uomo non migliorano. Il medico lo visita, l’uomo va in ospedale, fanno un altro tampone: è positivo, e viene ricoverato in rianimazione. Il 3 ottobre finisce in rianimazione la sorella della moglie, morirà qualche giorno dopo: anche lei era positiva al Covid. I familiari presentano una denuncia, ipotizzando che se avessero saputo subito dell’infezione dell’uomo l’intervento sanitario sarebbe stato più tempestivo.
E qui diventa decisivo il lavoro della Procura e dei carabinieri del Nas di Palermo che devono trovare l’eventuale nesso causale fra la mancata diagnosi e il decesso, oltre che la prova che il marito al momento dell’esecuzione del primo tampone non fosse realmente negativo.
L’Inchiesta
Arriva il blitz dei carabinieri del Nas. Sequestrano i macchinari del laboratorio di Alcamo. Secondo quanto raccolto i carabinieri hanno evidenziato come il laboratorio abbia continuato ad analizzare tamponi molecolari per conto dell'Asp di Trapani, di cliniche delle provincie di Palermo e Trapani nonché di privati, nonostante le apparecchiature utilizzate (nei mesi di aprile ed agosto) fossero state valutate non idonee per lo screening del Codiv-19 da parte dell'ente certificatore regionale di controllo qualità. Inoltre era stato rilevato che le matrici oggetto di analisi sarebbero risultate difformi dal reale contenuto e, in alcuni casi, l'esame analitico aveva dato esito negativo al virus quando in realtà doveva essere positivo.
Nel contempo, le indagini hanno fatto emergere che il titolare della struttura diagnostica ed il direttore tecnico del laboratorio hanno omesso di inserire nella piattaforma web regionale per il Covid-19 i test privati eseguiti e processati ed il relativo esito e hanno fatto pagare ai privati un prezzo per tampone variabile tra 80 e 100 euro, anziché applicare la tariffa di euro 50 a test stabilita dalla circolare regionale, una delle condizioni per la quale lo specifico esame era stato accreditato anche ai laboratori privati.
Qualche settimana dopo però è arrivato il dissequestro del macchinario per l'esame dei tamponi per il Covid 19 del laboratorio di analisi finito sotto inchiesta. (Qui la tesi della difesa che è riuscita a dimostrare l’irrilevanza delle anomalie). L'indagine si sgonfia, il riesame dissequestra il macchinario. I giudici stabiliscono, in sostanza, che “non c’è reato”, perchè non ravvisano la presenza del “fumus commissi delicti”. I giudici ritengono che non si può affermare che le macchine con cui sono stati processati i tamponi Covid fossero non idonee. Inoltre non viene ravvisato alcun intento fraudolento che giustifichi l’ipotesi delle frode in pubbliche forniture. Non c’è il dolo.
Dati falsi
I pm però annusano qualcosa di strano. Decidono di fare un approfondimento all’assessorato regionale alla Sanità, attivando alcune intercettazioni. E sono emerse le prime conversazioni sospette in cui si parlava di modificare i dati giornalieri dei contagi e dei tamponi. Si scopre che i dati dei positivi al Coronavirus sarebbero stati falsificati per scongiurare che la Sicilia finisse in zona rossa. Ai “domiciliari”, con l'accusa di falso materiale e ideologico, sono finiti Maria Letizia Di Liberti "braccio destro" dell’assessore Razza; Salvatore Cusimano, funzionario regionale, ed Emilio Madonia, dipendente di una ditta che gestisce i flussi informatici dell’assessorato.
Ieri sono tornati in libertà Letizia Di Liberti, Salvatore Cusimano, e Emilio Madonia. Il gip di Palermo, che dopo il trasferimento dell'indagine da Trapani al capoluogo era chiamato a decidere sul rinnovo della misura cautelare ha revocato per tutti gli arresti domiciliari. A Di Liberti e Cusimano è stata imposta la sospensione dal servizio per un anno.
Il fascicolo, aperto a Trapani perché l'indagine nasce da accertamenti in un laboratorio di analisi della provincia, è passato a Palermo nei giorni scorsi. La Procura del capoluogo, però, ha eliminato dalle contestazioni fatte agli indagati la parte relativa alle false dichiarazioni sui decessi.
Nella ricostruzione originaria dell'accusa, fatta dai pm trapanesi, dall'assessorato siciliano sarebbero stati dichiarati meno morti e meno positivi al virus per evitare che l'isola finisse in zona rossa. Ma la valutazione della Procura di Palermo è stata diversa: il numero dei decessi, infatti, non incide in alcun modo nella decisione che colloca i territori in una fascia di colore invece che in un'altra. L'accusa, dunque, andava riformulata.