E' morta Rita Di Giovacchino.
Giornalista, ha lavorato prima all’Ansa, poi, per 25 anni, al Messaggero. «Era un’ottimista: tutto per lei si metteva a posto, in qualche modo. Era figlia degli anni Settante e le piaceva rivendicarlo, qualche volta con un’aria di superiorità, perché i giovani non capivano e non potevano capire. Rivendicava, con orgoglio quella stagione che le apparteneva: il tempo della ribellione alla sua famiglia e al papà, generale dell’esercito. E in quegli anni, sui quali aveva sempre un aneddoto da raccontare, a fondo politico o solo di colore, aveva cominciato a fare la giornalista, giovanissima e molto bella. Tra una sigaretta e l’altra, senza soluzione di continuità, tirava fuori dettagli inediti, teoremi, spiegazioni. La cronaca giudiziaria era la sua vita. Dal sequestro Moro fino al maxi processo a Palermo, poi le stragi di Falcone e Borsellino.
“A Palermo mi hanno lasciata per sei mesi” diceva. “È arrivato l’inverno e mi hanno dovuto mandare i vestiti”. E poi ancora, inviata, per il processo Andreotti. E alla fine di Palermo si era innamorata, così, in uno dei suoi folli investimenti, aveva deciso di comprare una casa. Era stata anche a Cogne, per seguire il caso di Annamaria Franzoni, ma la sua passione rimanevano le inchieste su mafia e politica, l’intreccio tra criminalità e servizi segreti». Questo il ricordo del Messaggero.
È morta di Covid allo Spallanzani. Fino all’ultimo, quando erarisultata positiva al tampone, pensava che non fossenulla di grave e non voleva andare in ospedale. Lascia il figlio Emiliano e due nipotine.