Qualcosa non torna – ne sono convinti inquirenti ed investigatori – nel racconto di Vanda Grignani, 36 anni, accusata dell'omicidio di Cristian Favara di 45 anni. Il delitto è avvenuto, nella notte tra il 30 e 31 ottobre scorsi, in un appartamento della via Avellone, nella zona del centro storico di Trapani, dove la coppia viveva (potete leggere qui).
Fin da subito la donna, rinchiusa al Pagliarelli di Palermo, ha confessato: “Ho ucciso Cristian. Ho subito una aggressione e l'ho colpito”. Precisando di aver utilizzato un coltello da cucina, a suo dire, poco tagliente. Due i fendenti. Uno ha raggiunto la vittima ad una mano; l'altro, invece, quello mortale, al torace.
Secondo la versione di Vanda, quindi, avrebbe ucciso il suo compagno per difendersi. “Ha portato a casa cocco e fumo...Abbiamo litigato”. Ed è proprio sulla legittima difesa che si annidano forti dubbi. Ma a vacillare è anche il motivo della lite. La donna sostiene che è stata originata dalla circostanza che Cristian Favara era rincasato dal lavoro con della droga. Ma anche lei è una tossicodipendente. Prima che i carabinieri apponessero i sigilli all'appartamento, lei stessa ha chiesto di poter assumere il metadone che custodiva a casa. Ma ha anche ammesso che poco prima del rientro del suo compagno aveva assunto cocaina. I motivi del litigio, pertanto, potrebbero essere altri.
A far crollare, per gli inquirenti, l'ipotesi della legittima difesa è soprattutto un particolare: l'ecchimosi – riscontrato durante l'interrogatorio di garanzia – in corrispondenza dell'ombelico di Vanda. L'unico segno riconducibile alla lite. La donna ha dichiarato che a provocarle quella ferita era stato Cristian Favara con il piede di una sedia. Ed effettivamente i carabinieri hanno rinvenuto una sedia riversa a terra nel soggiorno. Secondo l'ipotesi degli inquirenti, Vanda Grignani, dopo essere stata colpita con la sedia, si sarebbe recata in cucina per prendere il coltello e sferrare i due colpi contro il convivente. “Pertanto – scrive il Gip – anche sotto tale profilo, deve ritenersi che non sia configurabile la causa di giustificazione delle legittima difesa”. “La sedia – racconta Vanda Grignani – non mi è stata scaraventata addosso, ma spinta con violenza contro di me”.
Per il Gip, inoltre, “la circostanza che Vanda Grignani abbia inferto due colpi di coltello, si pone in contrasto con la prospettata assenza dell'elemento psicologico del reato di omicidio e con l'invocata legittima difesa”. La donna ha ammesso di aver utilizzato un coltello da cucina di colore grigio. Ed un coltello, come quello descritto da Vanda Grignani, è stato rinvenuto sul tavolo del soggiorno. Non, quindi, in cucina dove è stato prelevato e usato per sferrare il colpo mortale. Anche qui, però, c'è un piccolo giallo. Il coltello, infatti, presentava tracce di sangue solo su un lato della lama. Il sospetto è che sia stato pulito, ovvero non sia l'arma del delitto. Il coltello, privo di punta e con lama seghettata, non era particolarmente tagliente. Se fosse l'arma del delitto, allora significherebbe che i colpi sono stati sferrati con violenza.
Ci sono, infine, quei quei post equivoci pubblicati su Facebook da Vanda Grignani poche ore prima del delitto che avevano spinto il Pm, a contestarle l'aggravante della premeditazione. La donna, però, ha spiegato che il pensiero del suicidio aveva sfiorato la sua mente. Già in passato, peraltro, si era resa protagonista di gesti di autolesionismo. “Stasera farò qualcosa che non avevo mai pensato. Perdonatemi”, una delle frasi che Vanda Grignani aveva scritto sulla sua pagina di Facebook. Una frase che aveva fatto credere a molti suoi contatti che fosse morta, ovvero che stesse meditando un gesto estremo. Per il Gip, però, “la collocazione temporale, in mancanza di ulteriori approfondimenti, non può ritenersi certa e il significato non può ritenersi allo stato univoco”. Allo stato attuale, pertanto, non sussiste l'aggravante della premeditazione.