di Katia Regina - Quando si verifica un incidente, e ci sono feriti, si chiama il 118 ed è confortante sapere che dentro l'ambulanza troveremo degli infermieri e almeno un medico.
Pensate invece se, in simili circostanze, a soccorrerci venissero: giuristi, filosofi, politologi e giornalisti! Ecco, lo scenario è quasi lo stesso: abbiamo l'incidente, abbiamo i morti e abbiamo i feriti. L'incidente è il virus, un mega-incidente planetario, i morti sono ancora a terra e la pletora di dotti discute animatamente sulle cause, su chi non ha rispettato la precedenza, su cosa prevede il codice della strada e sulla finitezza dell'uomo. Il ferito è grave, sta agonizzando sotto i loro occhi, ma la questione viene affrontata in punta di legge; l'urgenza, per i sapienti di turno, consiste nel principio etico delle dinamiche concettuali.
La filosofia può aiutare, e finanche guarire, taluni malesseri che attanagliano l'anima degli esseri pensanti, tuttavia, quando si tratta di batteri patogeni che colonizzano le vie respiratorie, la nobile disciplina dovrebbe tacere. In questo caso la parola passa alla medicina. È tempo di medici, possibilmente bravi, il massimo sarebbe medici appassionati anche di filosofia, ma solo in seconda istanza. In altre parole si confonde la questione di principio con quella sanitaria.
Vero è che tutti hanno il sacrosanto diritto di dire la loro in un paese democratico, tuttavia, anche se il sapiente di turno ha maturato qualche esperienza in età infantile osservando le proprie caccole attraverso il microscopio del piccolo chimico, dovrebbe conservare un po' di umiltà e riconoscere allo scienziato una maggiore conoscenza rispetto all'argomento trattato. Spostare il problema sanitario che coinvolge la vita di tutti sulla questione ideologica personale non è eticamente corretto. Il rifiuto del vaccino danneggia gli altri. Se qualcuno rifiutasse invece la somministrazione dell'anestesia (sostanza altrettanto misteriosa e pericolosa) prima di un intervento chirurgico su se stesso, e anche in quel caso si firma un consenso informato, vi assicuro che non avrei nulla da eccepire.
Ho visto filosofi dall'aspetto angelico lottare, con metodi non violenti, contro la tirannia sanitaria, figure miti e ragionevoli che, pur di non vaccinarsi, fanno lo sciopero della fame, evocando personaggi ormai passati alla storia per questo genere di protesta. Senza voler svilire questo nobile metodo, sollevo qualche perplessità considerando che la dieta dello sciopero della fame consiste, in questo caso, in tre abbondanti tazze di brodo vegetale e un cucchiaino di parmigiano, praticamente il cenone di Natale per un abitante del Terzo Mondo. Questa forma di protesta ha consentito, al cherubino filosofo, di evitare, per ora, la somministrazione del vaccino, il medico infatti lo ha esonerato perché non ci sarebbero studi sulle possibili conseguenze su soggetti debilitati da un regime alimentare tanto severo. Ebbene, la domanda sorge spontanea: come sarà possibile vaccinare i milioni di africani che vivono perennemente la condizione di malnutrizione?
Sono davvero tante le domande da porre agli esperti, quelli competenti, perché anche chi si è vaccinato può avere tante riserve, dubbi. Non siamo tutti pecoroni. Abbiamo tifato per Antigone anche noi, la legge di Dio ci convince più di quella degli uomini, ma abbiamo firmato un Patto sociale che limita la nostra libertà quando questa impatta contro quella del nostro prossimo. Qualcuno dice che quanti si sono vaccinati sono destinati a morire, parafrasando Troisi: ora ce lo segniamo. Si sappia, in ogni caso, che la stessa sorte è riservata anche a quanti non si sono vaccinati, perché questo sì, accomuna tutti.
Consigli per la lettura: Storia della medicina: dagli antichi greci ai trapianti d'organo di Sherwin B: Nuland;
Platone è meglio del Prozac di Lou Marinoff.