Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
27/02/2022 06:00:00

Rifiuti, Natalia Re: "Dire no ai termovalorizzatori significa danneggiare uno sviluppo ecosostenibile"

 Natalia Re, manager dell’Ugri Servizi per l’Ambiente. Sui termovalorizzatori sembra sempre che la politica ne faccia il gioco delle parti da campagna elettorale per poi creare il nulla. Lo possiamo dire che la Sicilia senza termovalorizzatore è destinata ad una battaglia persa?

Assolutamente sì, ormai è una verità dogmatica. Le disposizioni europee e le pratiche presenti in territori europei più virtuosi dei nostri, testimoniano l’utilità massima della termovalorizzazione come forma di recupero del rifiuto e non di distruzione. Il problema sostanziale è un cambiamento culturale che deve passare da una consapevolezza del cittadino. Solo attraverso la consapevolezza che i cittadini potranno avere dell’utilità del termovalorizzatore il politico non ne avrà più paura. Io invito a farci alcune domande e a quel punto ci rispondiamo in maniera automatica: come possiamo intervenire sui cambiamenti climatici se destiniamo in nostri rifiuti all’esportazione perché le nostre discariche sono sature?

La Campania ha mandato dei rifiuti in Tunisia che non li ha accettati e li ha mandati indietro. Chi paga questo costo dei trasporti dei rifiuti?

Lo paghiamo noi, questo impatta direttamente sulle tasche dei cittadini. In Italia nel 2020 sono state trasportate all’estero 181mila tonnellate di rifiuti che potevano essere trattati qualora non avessimo questo deficit impiantistico, che in Sicilia è molto più grave rispetto ad altre regioni d’Italia, come quelle del nord. Se la Sicilia avesse due termovalorizzatori, uno in Sicilia orientale e uno in quella occidentale, così come sono stati individuati, potremmo ad esempio illuminare una città come Palermo. Ciò significa non solo una migliore fruizione dei nostri territori, ma anche produzione di energia, di beni, di materia e abbassamento dei costi, non considerando l’indotto e la forza lavoro.

Natalia Re cosa ci finisce nei termovalorizzatori?

Il rifiuto urbano che non può essere differenziato, quella parte di rifiuto che non può essere recuperato in alcun modo. Con la termovalorizzazione andremmo a recuperare quella quota di rifiuti che non può essere ulteriormente valorizzata. Andremmo così a chiudere il cerchio e a portare a compimento gli obiettivi europei che peraltro sono articolati dal punto di vista economico e di progettualità dal PNRR e gli obiettivi zero discarica, che in Lombardia hanno raggiunto. Nel 2030 potremo portare in discarica solo il 10% dello scarto, in Lombardia portano già oggi il 5%, perché muniti di una impiantistica dotata anche di termovalorizzazione.

I termovalorizzatori possono andare a braccetto con l’ambiente? Ci sono le associazioni come Legambiente ed altre che sono lì a dire: No agli inceneritori.

Noi abbiamo un problema in Italia, un sistema ideologico negazionista attraverso il quale alcune, in tanti e le associazioni ambientaliste, non tutte, frenano e contestano la realizzazione degli impianti. Nel 2017 sono stati contestati in Italia 34 impianti. Contestarli significa danneggiare un processo di sviluppo che può essere ecosostenibile, perché la tecnologia che oggi viene impiegata è una tecnologia di grande biocontenimento, cosa che non avviene per le discariche. I sistemi di abbattimenti dei fumi, quando ci si riferisce ai termovalorizzazione, sono attuali e conformi a quelle che sono le tabelle di emissione. Il ciclo moderno è controllato. Spesso facciamo riferimento al termovalorizzatore di Copenaghen, dove, attorno, la popolazione fruisce di aree di svago e questo rende l’idea che oggi intorno ad un termovalorizzatore ci sia una aria salubre. Il problema in termini di impatto con le moderne tecnologie è inesistente, quello in termini economici è assolutamente positivo.

Sono in tanti a dire no ai termovalorizzatori.  Legambiente, altre associazioni, liberi cittadini, ma bisogna dire che quelle stesse persone comprano la frutta negli imballaggi di plastica, li ritrovi a comprare i limoni nei supermercati che non sono siciliani, ma che arrivano anche dall’estero, li ritrovi a mangiare le melanzane durante tutto l’anno, senza rispettare la stagionalità degli alimenti e questo è un controsenso. Se si vuole davvero tutelare l’ambiente si deve consumare quello che il fruttivendolo sotto casa ti vende da una produzione locale, a km zero.

Viviamo di controsensi, dove le buone pratiche e la responsabilità di ciascun individuo, che poi è responsabilità collettiva, è il tema principale su cui incardinare ogni discussione sulla salvaguardia ambientale. Legambiente non ha un’idea standardizzata sui termovalorizzatori, qui si sono espressi in maniera negazionista, altrove ciò non è accaduto. La popolazione in Italia va educata. Il problema in Italia è nel cambio di mentalità, ma si può avere solo con una informazione adeguata. Se un’iniziativa ci viene calata dall’alto abbiamo difficoltà a metabolizzarla, ma se abbiamo un minimo di informazioni, che possano essere snelle, concrete e vere, possiamo generare processi di consenso nei confronti della termovalorizzazione, un po’ come successo con i vaccini. Se tendiamo a spaccare, polarizzare e contrappore, e questo purtroppo è un difetto della politica, questo non fa bene al Paese e al cittadino e produce danni grandissimi.

Parliamo di rifiuti Covid. Dalla prima fase, alla seconda e alla terza tante cose sono cambiate. Prima era l’Asp ad occuparsene, poi la competenza è passata ai Comuni ma ciò ha portato ad un grande caos. Cosa è successo, visto che il rifiuto Covid, che è un rifiuto sanitario, segue delle linee ben precise?

Occorre dire che per catalogare un rifiuto noi abbiamo uno strumento normativo che è il catalogo europeo dei rifiuti che si compone di 776 descrittori. Sono divisi in tre distinti livelli che contrassegnano il rifiuto attraverso sei cifre che appartengono a delle classi madri. Il rifiuto di un utente in isolamento, la cui positività è stata accertata, costituisce di fatto un rifiuto speciale, con il codice 180, specifico per i rifiuti sanitari del catalogo. All’inizio tutte le nove Asp siciliane hanno preso in carico la gestione in via straordinaria. Nel Trapanese il servizio era stato preso dall’Asp ma poi nell’autunno 2020 è stato delegato ai Comuni. 

Il Comune di Marsala non potrebbe ritirare in ospedale il rifiuto dei reparti. Lo devono fare degli addetti specializzati?

Assolutamente sì. Deve essere fatto da delle ditte specializzate e autorizzate dall’albo gestori ambientali che si occupano di rifiuti sanitari pericolosi.

Non si capisce come l’azienda che tratta tutti i rifiuti possa ritirare i rifiuti a rischio infettivo. C’è un controsenso anche in questo caso.

C’è un controsenso a cui il governo regionale ha posto una deroga. Dobbiamo partire da un principio europeo sovrano, sulla base del quale, il codice dei rifiuti non può essere cambiato. Il legislatore in fase d’emergenza è intervenuto in deroga, dando la possibilità ai comuni di gestirlo in via del tutto straordinaria, ma garantendo la termodistruzione o termovalorizzazione del rifiuto. Questo è un aspetto imprescindibile, perché si tratta di un rifiuto a rischio infettivo.