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05/04/2022 06:00:00

L’azienda di San Vito controllata dal carceriere del piccolo Di Matteo

 Le mani della mafia dentro l’azienda di San Vito lo capo finita in amministrazione giudiziaria. Le mani, in particolare, erano quelle di Giuseppe Costa, boss di Custonaci, noto per essere stato uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, il ragazzino sequestrato e poi sciolto nell’acido negli anni ‘90.

L’azienda è la Barone Srl, commissariata in base al cosiddetto “codice antimafia”. Il provvedimento di amministrazione giudiziaria, disposto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale trapanese ed eseguito dalla Direzione Investigativa Antimafia, è scattato per il rischio di infiltrazioni e condizionamenti nell’impresa da parte di “Cosa nostra”.

L’istituto dell’amministrazione giudiziaria mira essenzialmente ad intervenire in quella “zona grigia” di rapporti tra criminalità e impresa, proprio per impedire la contaminazione di attività che, pur “sane” all’origine, siano state condizionate o infiltrate dalla mafia. Un tutoraggio preventivo, che scatta prima del procedimento di confisca.

Qui scattano i controlli sulla Barone Srl di San Vito lo Capo, azienda nel campo del calcestruzzo, che aveva presentato richiesta di permanere nella white list della prefettura di Trapani.

 

  

Ma le indagini condotte dalla DIA hanno permesso di accertare gli interessi di cosa nostra nella società, ed in particolare dei boss Pietro Virga e Vito Mazzara, curati da Giuseppe Costa.
Per gli investigatori è “evidente come l’attività della Barone srl abbia coinvolto il mondo della criminalità organizzata”. Viene sottolineato il “contesto della criminalità sanguinaria ed economica che ha come vertice il boss ergastolano Vincenzo Virga, condannato assieme a Matteo Messina Denaro e Vito Mazzara e Francesco Milazzo per l’omicidio dell’agente Giuseppe Montalto”.

La Barone Srl era di proprietà del defunto Salvatore Barone, padre degli attuali soci. Rilevano gli investigatori che Salvatore Barone non era del tutto estraneo alle dinamiche di cosa nostra. Era stato, infatti, coinvolto in alcune operazioni antimafia. Fu arrestato, processato e poi assolto per l’omicidio di Pietro Ingoglia avvenuto nel 1989. La corte d’appello di Palermo lo condannò nel 2000 perchè ritenuto organico a cosa nostra. Negli anni ci sono stati contatti e indagini in comune proprio tra Barone e Vito Mazzara, boss di Valderice.

COSTA, IL CARCERIERE DEL PICCOLO DI MATTEO
In questa vicenda la figura principale, quella che fa scattare il provvedimento di amministrazione giudiziaria, è quella di Giuseppe Costa.
Non è un nome di poco conto all’interno di Cosa nostra. Giuseppe Costa è stato tra i carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino rapito e sciolto nell’acido dopo una lunga prigionia.

 


Fu Matteo Messina Denaro, latitante dal ’93, a chiedere al capomafia di Trapani, Vincenzo Virga, di trovare un luogo sicuro dove tenere prigioniero il piccolo Di Matteo. A indicare la disponibilità di Costa, fu Vito Mazzara, killer di mafia e zio della moglie. Il bambino arrivò nella sua casa di campagna a Purgatorio, frazione di Custonaci, rinchiuso nel bagagliaio di un’auto e incappucciato. Per lui era stata realizzata anche una cella. Costa il 3 febbraio 2017 scontata la condanna a 25 anni di carcere, cinque in meno per buona condotta è tornato libero. A fine dicembre 2020 è stato di nuovo arrestato.

 

 

Costa ha mantenuto le caratteristiche dell’uomo di mafia, dell’autorità tipica di chi riveste questa carica, del potere di controllo sul territorio, nonostante i 20 anni di detenzione per aver partecipato al sequestro del piccolo Di Matteo. Infatti un giorno, nel giugno 2019, un anziano va da Costa lo mette al corrente del fatto che un tale Fabrizio non poteva permettersi mancargli di rispetto rubando pecore ed altro. Chiede a Costa di intervenire.
Gli investigatori accertano che i contatti di Costa emersi dalle indagini “sono gli stessi che caratterizzano quella pagina vile e criminale della storia della mafia” da cui Costa non si è mai distaccato.


COSì COSTA CONTROLLAVA L’AZIENDA
Giuseppe Costa, si legge nel decreto, “ha mostrato di avere il potere di intromettersi nella gestione della Barone Srl estromettendo consapevolmente i soci e la amministratrice unica ed assumendo incarichi delicati, quale quello di vendere a terzi la società stessa”.

Dalle indagini risulta come Costa abbia reso possibile il controllo sulla Barone Srl della consorteria mafiosa portando avanti iniziative personali, non avendo alcun ruolo formale nell’azienda, e chiedendo informazioni sull’andamento della società ad un dipendente per verificare se i titolari occultassero ricavi che invece dovevano essere consegnati a Caterina Culcasi, moglie dell’ergastolano Vito Mazzara. Alla moglie del boss Costa riferiva tutto, anche che, di fatto, sarebbe stato lui ad aver avuto sotto controllo la Barone da tre anni: “li ho tenuti sott’occhio, e lui lo sa (Andrea Barone, figlio di Salvatore, ndr), lui se ne accorge”. Ma da tempo i Barone non rendicontavano gli incassi a cosa nostra, fa presente la signora Culcasi. La donna, in una conversazione, fa una sorta di resoconto degli ultimi venti anni e di come vi fossero stati anni in cui gli affari per la Barone andavano bene. Cosa che conferma che il controllo della mafia nella società fu costante, e non occasionale, rilevano gli investigatori.

LA MAFIA CHE RIPULISCE UN’AZIENDA IN ODOR DI MAFIA
L’idea era anche quella di ripulire l’azienda dalla “macchia” del passato. Darle una parvenza di estraneità dagli ambienti di cosa nostra. Così Giuseppe Costa ha tentato di far vendere la Barone Srl alla Eurocalcestruzzi, società di Custonaci che operava nello stesso settore. C’era stato anche un incontro tra Costa, Nino Mazzara (nipote di Vito) e l’amministratore della Eurocalcestruzzi. Il tutto all’insaputa dei Barone. E’ il paradosso: cosa nostra stava tentando di “ripulire” un’impresa nata in “odor di mafia”, visto il passato di Barone, facendola acquistare dalla Eurocalcestruzzi.

I SALUTI DAL CARCERE TRAMITE IL PRETE
Costa doveva assicurarsi che i guadagni della Barone Srl arrivassero alla consorteria mafiosa. Cosa che non succedeva da un po’. Dalla Barone doveva arrivare una sorta di mantenimento alla Culcasi. E dal carcere il boss Vito Mazzara, zio della moglie di Costa tra l’altro, pressava. Mazzara sta scontando un ergastolo al carcere di Parma. E’ il 23 settembre 2019 e Costa viene raggiunto da una chiamata dal cappellano del carcere che gli diceva che Vito Mazzara gli mandava i saluti e che sperava di vederlo presto. “Buongiorno, Vito vi manda un caro saluto e spera di vedervi presto”. Un chiaro richiamo per Costa che qualche ora dopo dice alla moglie che presto sarebbe dovuto andare dallo zio a Parma e incontra il cugino del boss ergastolano, Mario Mazzara.

L’ARTICOLO DI TP24 E LE PREOCCUPAZIONI DI COSTA
Delle vicende di Costa e delle dinamiche criminali in provincia di Trapani ne abbiamo parlato diverse volte su Tp24, con lavori di approfondimento (come quello di oggi) che hanno anche anticipato le indagini. Parlammo di Giuseppe Costa anche in un articolo del novembre 2019 sul suo coinvolgimento nell’operazione “Scrigno”. Un’operazione che svelò l’intervento della mafia nelle elezioni amministrative e regionali di quegli anni.


Costa, emerge dalle migliaia di pagine dell’inchiesta Scrigno, si sarebbe attivato per le elezioni regionali del 2017 e fu visto nel negozio di gioielli dei Virga. Qui il nostro approfondimento.


Costa legge l’articolo, e ancor più di prima teme di essere intercettato. Parla con Paolo Magro, dipendente di sua fiducia della Barone srl. I due sono preoccupati di essere raggiunti da provvedimenti, e si raccomandano di non parlare dei loro affari per telefono, e di predisporre delle cautele. Ma soprattutto Costa commette gli stessi errori. Si fa intercettare, indagare e arrestare. Viene condannato a 12 anni di carcere perchè non ha smesso di far parte di cosa nostra.
Stupisce, in tutta questa storia, come il Comune di Custonaci, amministrato dal sindaco Morfino, nonostante gli annunci, non si sia mai costituito parte civile nei processi a carico di Costa.