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20/04/2022 06:00:00

Se non hai ancora avuto l’infarto, il pronto soccorso di Sciacca è una strada in salita

 E’ una strada in salita quella di coloro che l’infarto non l’hanno ancora avuto, ma che rischiano di averlo da un giorno all’altro. E’ in salita soprattutto se non si hanno “santi in paradiso” che intervengono provvidamente ad eliminarne la pendenza. E soprattutto quando questa pendenza è fatta di inefficienze, le cui responsabilità sono talmente articolate e a più livelli, da non essere di nessuno.

 

Questa storia comincia a metà marzo scorso, quando un elettrocardiogramma da sforzo all’ospedale di Trapani dà un nome ad una mia pesantezza al petto percepita nelle settimane precedenti: c’è un’ostruzione coronarica superiore al 70%.

Una volta interrotto il test (per precauzione la prova non è stata portata a termine), ricevo l’indicazione ad un vigile riposo di mezz’ora, poi vada casa, mandi qualcuno in farmacia per una cardioaspirina da assumere subito e contatti il suo cardiologo. Dovrà fare una coronarografia.

Tra visita cardiologica e formale documentazione per richiesta di ricovero, passa circa una settimana. E il dolore toracico ritorna, anche se poi sparisce.

Scelgo allora di andare al pronto soccorso di Castelvetrano, dove mi visitano immediatamente e, dopo ecg, prelievo e consulenza specialistica, non essendosi verificato alcun infarto, suggeriscono il percorso ambulatoriale, considerando l’emodinamica di Sciacca come riferimento.

Vista la situazione e non essendo possibile alcun trasferimento, il consiglio è di andare direttamente al pronto soccorso dell’ospedale di Sciacca, chiedendo di fare una coronarografia. E nel caso non si possa fare subito, magari farsi fissare una data.

 

Arrivo lì alle due del pomeriggio, segnalo la mia presenza e aspetto nella grande sala d’attesa. Vengo visitato dal medico alle otto e mezzo di sera, che insiste nel chiedermi quando ho avuto l’ultimo dolore toracico e come mai sia venuto da Castelvetrano al pronto soccorso di Sciacca.

Gli spiego che dovrei fare la coronarografia, che so che viene effettuata in regime di ricovero e che da Castelvetrano mi hanno consigliato di provare attraverso il pronto soccorso. Certo, se non è possibile ricoverarmi adesso, ritornerò più avanti, magari mi fissate una data...

“Deve attendere”. Attendo, di nuovo in sala, per altre tre ore e mezza. E a mezzanotte arriva il mio turno: mi accompagnano in cardiologia per la visita specialistica. Un infermiere mi spinge su una sedia a rotelle (ma ce la faccio a camminaresì, ma la prassi è questa. Va beh), attraversando velocemente corridoi e ascensori che sembrano non finire mai, ognuno con una temperatura diversa dall’altro. Qualche metro lo facciamo perfino all’esterno, poi un altro corridoio… poi un altro ascensore. Insomma, i percorsi di uscita di Goldrake erano meno articolati.

 

Finalmente arrivo dietro la porta del cardiochirurgo. Aspetto un’altra mezzora, perché è in atto un codice rosso: coronarografia e angioplastica per qualcuno che invece l’infarto l’aveva già avuto.

Quando tocca a me, un silenzioso infermiere mi fa il tampone molecolare (quello fatto all’entrata, nel pomeriggio, era rapido) e mi inserisce l’ago cannula al secondo tentativo, dopo avermi rotto una vena. Alla fine mi riaccompagnano giù al pronto soccorso, perché domani mattina farò la coronarografia. Di nuovo sulla sedia a rotelle, faccio il percorso di ritorno, con un mal di testa lancinante e arrivo nella sala delle reclinabili, dove passo la notte senza poter prendere nemmeno mezza pillola in vista dell’intervento del giorno seguente.

Sveglia alle sei. Digiuno. Attesa. Mattinata intensa, con le reclinabili tutte occupate da pazienti del pronto soccorso che aspettano di essere visitati dal medico che, ovviamente, è da solo. C’è chi si lamenta, torturato dalle coliche renali; un anziano con testa e mani fasciate, aspetta il suo turno per i punti di sutura, mentre qualche gocciolina di sangue si fa strada attraverso le garze; c’è anche una ragazza che racconta di aver esagerato col peperoncino e, tormentata dal mal di pancia, si fa coraggio canticchiando le canzoni della Nannini.

Alle 11 mi fanno sapere che stanno per chiedere conferma del posto letto per il ricovero in cardiologia.

 

Alle 13, le risposte devono ancora arrivare. Digiuno a colazione, digiuno a pranzo.

Scusi, io dovrei essere ricoverato per la coronarografia… Deve attendere, c’è un solo medico con trenta pazienti… Lo so, ma sono già stato visitato, dovrei solo essere trasferito suDeve attendere! Mal di testa.

Alle 13,30 si attende conferma per il ricovero nel primo pomeriggio e la coronarografia per l’indomani mattina. Alle 15 mi portano da mangiare. Aspetto ancora.

Telefono a mia moglie, nel frattempo arrivata da Castelvetrano, nella sala principale del pronto soccorso. Le racconto gli ultimi “sviluppi” di quest’attesa infinita. Riesce a parlare con un medico di cardiologia, al piano superiore, che le dice che non ci sono posti nemmeno per stasera. Forse, ma non è detto, potrebbe liberarsi un letto per domani.

 

Stremato, dico basta. La prospettiva di un’altra notte sulla reclinabile, dopo 25 ore di attesa, mi porta ad una decisione drastica: firmare per tornare a casa.

Nel verbale di pronto soccorso, l’accettazione e la dimissione portano due date diverse, senza aver fatto però alcun intervento: entrata il 21 marzo alle 15,21 ed uscita il 22 marzo alle 16,22.

Il paziente non vuole aspettare che domani si liberi il posto letto – si legge nella nota a fine documento - pur informato dei rischi cui si espone”.

Ho preferito fare una prenotazione standard con tempi un po’ più lunghi (il 6 aprile a villa Eleonora a Palermo), ma in condizioni più umane. E’ andato tutto bene, mi hanno inserito tre stent. L’ostruzione era del 90%.

Certo, anche Sciacca è un’eccellenza per l’emodinamica, se solo riesci ad arrivare in reparto. Ma  farlo dal pronto soccorso,  senza ancora aver avuto l’infarto e senza santi in paradiso, è davvero da sconsigliare.

 

Egidio Morici