"Oggi a trent’anni di distanza dalle stragi mafiose c’è una maggiore consapevolezza del fenomeno mafioso, ma rispetto all’indomani delle stragi, quando c’era la sensazione di un riscatto sociale, oggi c’è qualcosa di meno, c’è anche una maggiore rassegnazione”.
Sono queste le parole del Procuratore della Repubblica ‘facente funzioni” di Marsala, Roberto Piscitello, nel corso della presentazione del libro di Giacomo Di Girolamo “Matteo va alla Guerra” (Zolfo editore), che si è tenuta sabato mattina alle Cantine Donnafugata, come anteprima del festival 38° Parallelo. Un’occasione per fare una riflessione sulla mafia a trent’anni dalle stragi, quella della presentazione del nuovo libro dello scrittore e giornalista marsalese, che con il suo libro approfondisce e racconta gli avvenimenti che, sotto la guida e la partecipazione attiva del boss castelvetranese, Matteo Messina Denaro, culminarono con le stragi mafiose del 92 e 93
Il riscatto sociale subito dopo le stragi - “Trent’anni dopo le stragi, dopo duecento metri di autostrada saltati in aria, trent’anni dopo due palazzi sventrati – le parole di Piscitello -, io non sono che cosa resta o che cosa sarebbe dovuto restare, so che questa è un’epoca strana, troppo lontana dal ’92 e se questa domanda me l’avessero fatta, qualche anno dopo le stragi, avrei risposto in maniera diversa. Avrei detto che c’era il riscatto di una terra per troppo tempo martoriata, di gente che per troppo tempo si voltava dall’altro lato, di gente che, finalmente, aveva capito che la mafia non era un affare da pochi, ma qualcosa che attentava ai nostri sogni, al nostro domani, alla vita dei nostri figli. E i giorni, i mesi e gli anni immediatamente dopo le stragi quella sensazione di riscatto l’avevano data e si era concretizzata con mille gesti e mille simboli, di cui vive la mafia e anche chi questo fenomeno vorrebbe sconfiggerlo. In quel momento c’era un riscatto sociale di cui andare fieri, di cui parlare”.
"La mafia ha perso" - “In questi anni in cui s’è preso consapevolezza della mafia – continua Piscitello – tanto è stato fatto. La risposta giudiziaria al fenomeno mafioso è stata un’avanguardia rispetto alla risposta che ha dato quella che si definisce società civile. Io credo che la mafia abbia clamorosamente perso. Ha perso sul fronte processuale, ha perso perché le forze dell’ordine, la magistratura e tutti gli operatori della giustizia sono stati in grado di circoscrivere il fenomeno e dare una risposta concreta e questo è accaduto soprattutto in provincia di Trapani, dove tutti i latitanti sono stati catturati e i componenti delle “famiglie” sono stati assicurati alla patrie galere".
Piscitello: "La Sicilia potrà liberarsi dalla mafia solo se i siciliani lo vorranno" from Tp24 on Vimeo.
Piscitello ha anche ricordato i due più importanti processi di mafia celebrati in provincia di Trapani: i processi "Omega" e "Arca" che hanno fornito uno spaccato della mafia nel trapanese, che è prioritaria, per certi versi, rispetto a quella palermitana. Ma per il magistrato la mafia non si può sconfiggere solo con la polizia, i carabinieri e con i magistrati. “Bisogna superarla nei comportamenti quotidiani di uomini e donne che svolgono le più disparate attività, e che sono lontani mille miglia dal pensare mafioso".
"La mafia, un reato a partecipazione necessaria" - "Andando nelle scuole con l’ANM - prosegue Piscitello - oggi raccontiamo che cos’è la mafia e diciamo che è un reato a partecipazione necessaria. Necessita, infatti, della compartecipazione culturale della vittima. L’esempio è quando rubano il motorino e si va, anziché dai Carabinieri, da una persona che si ritiene in grado di far ritrovare il motorino. La mafia finirà quando non avrà più niente da spremere, almeno a queste latitudini. Credo, comunque, che sia finita l’epoca delle stragi e degli attentati".
"Riconoscere il male e metterlo da parte" - "Non è stato facile arrivare fino ad oggi, ma è stato fatto tanto nella lotta alla mafia - conclude il Procuratore di Marsala Piscitello - ed è un bagaglio di sacrifici che non dobbiamo disperdere e che dobbiamo trasferire, da chi più, professionalmente si occupa di questo, e tra queste persone ci sono le forze dell’ordine, ma anche magistrati, avvocati e i giornalisti. Si tratta di trasferire questo bagaglio di conoscenze a tutti i cittadini, capire e riconoscere il male e metterlo da parte".