Elena Del Pozzo, la bambina di quasi cinque anni scomparsa lunedì pomeriggio a Tremestieri Etneo, in provincia di Catania, è stata uccisa dalla mamma, Martina Patti, 23 anni, studentessa di Scienze infermieristiche. La donna aveva raccontato ai carabinieri che la figlia era stata rapita da tre uomini armati e incappucciati appena uscita dall’asilo, ma le ricostruzioni fornite sono apparse agli inquirenti poco credibili. E ieri mattina, dopo un lungo interrogatorio, la mamma di Elena è crollata. «L’ho uccisa io, non ero in me», ha detto al pm. Poi ha indicato il punto dove si trovava il cadavere, in un campo incolto a duecento metri dalla casa. La Procura ha predisposto il fermo per omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere.
«Non ricordo cosa sia passato nella mia mente quando ho colpito mia figlia», ha continuato a ripetere. «Anzi, posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa». «Quando ho colpito Elena — mette a verbale — avevo una forza che non avevo mai percepito prima». E, poi: «Non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma».
Dalla prima ricostruzione, Martina Patti è andata a prendere la figlia all’asilo lunedì per poi ucciderla in casa con un coltello da cucina (7 coltellate). Dopodiché, ha avvolto il corpicino in dei sacchetti di plastica e lo ha portato in un vicino terreno di campagna, tentando di coprirlo con terra e cenere lavica.
Il cadavere è stato trovato in un appezzamento di via Turati, a circa 200 metri di distanza dall’abitazione di via Euclide in cui vivevano madre e figlia.
Martina Patti e il padre di Elena, Alessandro Nicodemo Del Pozzo, 24 anni, non stavano più insieme da tempo.
Lui, odontotecnico, dopo la fine della relazione con Martina era emigrato in Germania ed era tornato con una nuova compagna, Laura. Era stato arrestato per rapina nel 2020 e poi assolto e ha qualche precedente per spaccio di sostanze stupefacenti.
Sul movente dell’omicidio ci sono ancora pochi punti fermi, ma è evidente una situazione di fragilità psichica.
«C’erano state gelosie e violenze» ha spiegato in conferenza stampa il comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Catania, Piercarmine Sica. «Una delle possibili ragioni che hanno portato Martina Patti a compiere il gesto può essere proprio la gelosia, non solo nei confronti nuova compagna dell’ex convivente ma anche per la paura che la figlia potesse affezionarsi alla donna».
La nonna paterna, Rosaria Testa, ha detto ai giornalisti: «Un giorno la mamma stava dando botte alla figlia e gliela abbiamo dovuta togliere dalle mani. Quella mattina l’ho accompagnata a scuola e le ho detto “nessuno ti vuole bene più di me”. Lei mi ha guardata e mi ha fatto capire che aveva capito quello che avevo detto. La madre aveva un atteggiamento autoritario e aristocratico. Decideva lei quando portarci la bambina».
Sul Corriere della Sera c'è un'intervista a Claudio Mencacci, direttore emerito del Dipartimento di Neuroscienze all’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano.
Elena è stata uccisa con diverse coltellate: il gesto può essere stato commesso con lucidità?
«Parlerei piuttosto di intenzionalità non premeditata. Ora si dovrà capire se la donna abbia un disturbo di personalità borderline, ma possiamo presumere — anche stando alle parole dei familiari — che ci fosse una sorta di abitudine al maltrattamento nei confronti della figlia, unita a forte tensione emotiva».
A posteriori, questa tragedia si sarebbe potuta evitare?
«Dalla bambina possono essere arrivati segnali di malessere, evidentemente non colti. Martina Patti avrebbe dovuto curare il proprio discontrollo della rabbia, ma in primo luogo penso che sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna, fattore unito forse a un ambiente familiare instabile e, senza dubbio, alla giovane età».
Cosa si può fare per prevenire i figlicidi?
«Ogni anno in Italia vengono uccisi da un geni-tore circa 25 bambini. Tra le pareti di casa possono esserci abusi, violenze e non sempre riusciamo a percepirli. Nel nostro Paese, ai Servizi di salute mentale è destinato il 3,2 per cento del Fondo sanitario contro la media del 10per cento nei Paesi europei ad alto reddito. Andrebbecreata un’Agenzia nazionale che coordini gli interventidi prevenzione per la salute mentale, a partire dalledonne incinte e gli adolescenti».