Non ha offeso la reputazione del collega. A stabilirlo è il Tribunale di Trapani che ha assolto “per non aver commesso il fatto” il giornalista Gianfranco Criscenti, accusato di aver diffamato il collega Rino Giacalone attraverso alcuni post su Facebook.
La vicenda ha inizio tra marzo e aprile del 2015, quando Criscenti scrive (senza fare alcun nome) di non accettare lezioni di giornalismo da chi per mesi aveva scritto “contro un imprenditore (il cui fratello è ritenuto vicino a Matteo Messina Denaro) e poi, non appena la compagna ottiene – dall’imprenditore preso di mira - un ufficio stampa, questi diventa una persona da lodare, un esempio da seguire”. “E se questo non dovesse bastare – aveva aggiunto - il ‘maestro’ della legalità è andato a cena con l’imprenditore in questione ed anche con il fratello che sarebbe legato al boss latitante (la cena è documentata da una foto)”.
Tra i post della primavera dello stesso anno, ce n’è uno che riguarda “un insospettabile personaggio” finito “iscritto nel registro degli indagati per ipotesi di reato legate alla sua professione”. Anche in questo caso, nessun nome. Succede però che un’emittente locale della provincia di Trapani (Telesud), si incuriosisce e fa uscire la notizia compreso il nome: quello di Rino Giacalone. Notizia che però non viene confermata, nonostante la fonte di Criscenti fosse considerata di assoluta attendibilità.
Ovviamente Giacalone querela Telesud che, nel novembre del 2019, viene condannata ad un risarcimento di 33 mila euro per aver dato una notizia falsa.
Fino ad allora, nessuna querela per Criscenti, che nei suoi post senza riferimenti nominativi, non aveva diffamato nessuno.
Ma, proprio in una delle udienze del processo contro Telesud (il 27 giugno 2019), succede qualcosa: Criscenti viene chiamato come teste, il giudice gli chiede chi fosse il destinatario di quei suoi post ed il giornalista, avendo l’obbligo di dire la verità, svela il nome di Giacalone. Che a quel punto querela anche lui. E’ su questo che si è basato il procedimento che a gennaio del 2021 ha visto Criscenti a giudizio per rispondere del reato di diffamazione aggravata su fatti del 2015, forzatamente completatisi nel 2019.
Dal momento che però nessuno può essere costretto ad agire a proprio danno (il cosiddetto principio giuridico del nemo tenetur se detegere), l’avvocato Massimo Gagliardo, legale di Criscenti, ha eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nel processo che riguardava Telesud. Il giudice l’ha accolta, assolvendo il giornalista per non aver commesso il fatto.
Non si è trattato dunque di un cavillo, come se si fosse rilevato un errore in una data di nascita, un nome storpiato o l’assenza di una notifica, ma della tutela del fondamentale “diritto al silenzio”. Nelle motivazioni della sentenza, il giudice spiega infatti che nel “caso in cui un soggetto, chiamato a deporre in qualità di teste, renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico”, l’autorità procedente deve subito interrompere l’esame “avvertendo la persona che a seguito di quelle dichiarazioni e in virtù della mutata veste processuale, potranno essere svolte indagini nei suoi confronti, invitandola a nominare un difensore di fiducia”. E tutte le dichiarazioni prima dell’avvertimento non potranno essere utilizzate contro la persona che le ha rese, pur valendo invece nel contesto del processo in cui il teste è stato chiamato.
Ma “nessun avvertimento – si legge nella sentenza - risulta essere stato fatto dal Giudice all’udienza del 27/6/2019 al Criscenti nel momento in cui gli venivano formulate domande su pregresse pubblicazioni effettuate dallo stesso su Facebook”.
E’ per questo che il processo si è concluso alla prima udienza utile, in cui salta all’occhio che anche lo stesso pm, nelle conclusioni delle parti, aveva chiesto “emettersi sentenza di NDP ex art. 129 c.p.p.”, ovvero di “non luogo a procedere”.
Egidio Morici