Colpo di scena, in Tribunale, a Marsala, nel processo al 67enne mazarese Lucio Giacalone, imputato per l’incendio di una piattaforma aerea elevabile, il cosiddetto “ragno”, di proprietà dell’imprenditore edile Michele Tumbiolo.
Quando, infatti, il pm era ormai pronto per la sua requisitoria, l’avvocato difensore Vito Cimiotta, nel tentativo di dimostrare l’innocenza del suo cliente, ha chiesto e ottenuto dal giudice Giusi Montericcio che venga disposta una perizia medico-legale.
“C'è qualche cosa che non va nei tempi – dice il legale - Il soggetto che viene ripreso dalle telecamere a 130 metri di distanza dal luogo dell'incendio potrebbe non essere lo stesso trovato seduto nella via Mantova. Il primo soggetto, con due fratture all'anca, avrebbe percorso 130 metri in due minuti. Secondo la Procura sarebbe lo stesso che avrebbe percorso gli ultimi 20 metri in 5 minuti. Com’è possibile che per 130 metri ci stia due minuti e per 20 metri 5 minuti? Lo dovrà accertare il medico legale”. Secondo l’accusa, il Giacalone, per allontanare da se i sospetti quale possibile autore dell’attentato incendiario, avrebbe presentato in Commissariato denuncia contro ignoti affermando che quella notte, intorno alle 3, in via Leto, una Fiat Panda lo investì, fuggendo subito dopo. Per questo, è accusato anche di simulazione di reato. Ma la difesa ha evidenziato anche altre incongruenze nella fase delle indagini. A mandare, infatti, sotto processo il Giacalone sono stati un cappellino trovato sul luogo dell’attentato e le scarpe del sospettato autore, che per otto mesi, però, prima di essere analizzati dal Ris, sono stati nello stesso plico. E quindi, secondo la difesa, ci potrebbe essere stata “contaminazione” tra i due reperti. E ciò l’avvocato Cimiotta lo ha posto in rilievo quando in Tribunale sono stati ascoltati i carabinieri del Ris di Messina, che a suo tempo avevano effettuato una analisi chimica di alcuni indumenti impregnati di benzina, uno dei quali, il cappellino, era stato trovato sul luogo, mentre altri, e cioè le scarpe indossate dal Giacalone, erano state prese dopo. E davanti al giudice Montericcio, su sollecitazione dell’avvocato Cimiotta, i militari Ris hanno confermato quanto sostenuto dal legale. E cioè che le scarpe e il cappellino sono stati conservati per otto mesi all'interno dello stesso plico, motivo per cui potrebbe esserci stata una “contaminazione”. Un colpo a favore della. L’incendio danneggiò le parti gommate ed elettriche del “ragno” e lo stesso autore dell’attentato, secondo l’accusa, rimase ustionato.