Ponte sì ponte no, si torna a parlare del Ponte di Messina, se ne parla già dal 1866, a qualche anno dallo sbarco dei Mille a Marsala e da allora il ponte oltre alle tante parole è costato qualcosa come 1,2 miliardi di euro, solo che il ponte ancora non c’è e ora, non farlo, costerà almeno altri seicentocinquanta milioni di euro.
Nel 1866 fu il ministro dei Lavori pubblici del governo La Marmora, Stefano Jacini, nel 1866. Nel 1965, si parla tanto del progetto del ponte che divenne una copertina della Domenica del Corriere. Ma i costi del ponte, iniziano nel 1968 quando l’Anas indice un concorso di idee internazionale denominato Progetto 80.
La cronistoria del Ponte di Messina - Per la prima volta si parla del Ponte di Messina addirittura qualche anno dopo l’Unità d’Italia, nel 1866. L’allora ministro di Lavori Pubblici Jaccini diede l’incarico all’ingegnere Alfredo Cottrau di studiare n un ponte tra la Sicilia e la Calabria. Dopo quasi un secolo nel 1955 c’è la prima costituzione del Gruppo Ponte di Messina. Nel 69 iniziano gli studi ingegneristici e di fattibilità e il ministero del Lavori Pubblici lancia un “Concorso Internazionale di idee” per un progetto di attraversamento dello Stretto. Vengono presentati 143 progetti e vengono premiati i primi 12. I primi sei ex aequo e lo stesso per i secondi posti, che sono gli altri sei. Insomma un concorso in cui hanno vinto in dodici ma in realtà non ha vinto nessuno, non si riesce a mettere assieme nulla né a fare sintesi dei progetti e intanto da Roma arrivano i primi soldi stanziati: sono 3 miliardi e 200 milioni per gli studi preliminari. Dal ’69 inizia lo spreco Ponte di Messina, tra progettazione, società, concessionaria, ecc.
Nel 1971 viene creata una società di diritto privato con capitale pubblico che diventa la concessionaria per la progettazione, realizzazione e gestione del Ponte. Nel 1978 c’è la proposta tecnica su come dovrà essere realizzato e cioè a “campata unica”, sarebbe così, con queste caratteristiche tecniche, il ponte più lungo del mondo co i suoi 3300 metri. Nel 1981 viene costituita la Società Ponte di Messina S.p.a. Ci sono tutti, Istalstat, Iri, Anas, Ferrovie Stato, Regione Siciliana e Regione Calabria. Il vero bilancio dei costi Inizia a partire da qui il tassametro dei costi per lo Stato. Tra il 1981 e il 1997 vengono spesi 135 miliardi di lire per vari studi di fattibilità.
Nell'84 c'è Bettino Craxi al Governo, Romano Prodi all'Iri, viene annunciata per la prima volta la data di realizzazione: è fissata al 1994. Intanto il mare di soldi che fino ad allora sono stati spesi finiscono nel nulla. Nel 1992, durante la campagna elettorale è nel programma di Bettino Craxi, viene presentato un “progetto di massima definitivo” con previsione di spesa, valutazione d’impatto ambientale, il tutto a firma di un ingegnere inglese William Brown. Poi però è scoppiata tangentopoli e fu la fine delle Prima Repubblica e si dovranno attendere 5 anni, per l’approvazione del progetto da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Ma è il governo Berlusconi che "passa ai fatti" - Su progetto a campata unica, con Pietro Lunardi ministro delle Infrastrutture, nel 2003 viene aperto un primo cantiere a Cannitello per l’ancoraggio dei cavi. Passando dalle lire all’euro il conto al 2003 è già salito a oltre 130 milioni (fonte Corte dei conti). Nel frattempo erano già morte sia l’Iri che la Dc che avevano avviato l’idea. Nel 2007 la società Stretto di Messina finisce per essere controllata all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato) e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia. Con il ritorno a palazzo Chigi di Prodi il progetto frena, per ripartire due anni dopo con il Berlusconi IV.
Il dibattito tra sostenitori e detrattori - Di pari passo c’è il braccio di ferro fra i sostenitori: dicono che svilupperà il Mezzogiorno e sarà una grande attrazione turistica. I detrattori, invece, dicono che prima bisogna recuperare e rendere moderne le infrastrutture viarie e ferroviarie in Sicilia e Calabria. Sopra le parti una nutrita schiera di ingegneri pone l’annosa questione legata alla sicurezza dell’infrastruttura.
Nel 2013 con Mario Monti la società Stretto di Messina viene messa in liquidazione e affidata a Vincenzo Fortunato, già capo di gabinetto del ministro Giulio Tremonti, di Lunardi e Di Pietro. Lavora anche per lo stesso governo Monti e conosce molto bene la storia del Ponte, dunque sembra essere la persona giusta per chiudere la faccenda velocemente: per lui è previsto un compenso da 120 mila euro l’anno come parte fissa, più 40 mila di parte variabile. All’atto della messa in liquidazione la società ha terreni per 3.739 euro, 127 mila euro di macchinari. Sono passati 9 anni e la società in liquidazione è ancora in piedi.
I risarcimenti - Nel bilancio del 2013 emerge anche un contributo in conto impianti pari a 1,3 miliardi. In realtà di questa cifra lo Stato paga solo circa 20 milioni perché successivamente il Cipe li sopprime ma questa voce indica quanto possa costare sul serio il Ponte: 1,3 miliardi solo di impianti. La società dal 1 gennaio 2014 non ha più dipendenti (ma sono stati spostati in Anas quindi sempre a carico dello Stato). Quello che sappiamo dunque è che ai 342 milioni da dare alla società Stretto di Messina fra penali e indennizzi, occorre aggiungere gli oltre 130 milioni spesi fra studi e gestione degli anni Ottanta e Novanta.
657 milioni la cifra che chiede la Impregilo e 1,2 miliardi di costo - Sempre a carico dello Stato ci sono poi i risarcimenti di parti terze poiché non sono stati fatti accantonamenti a garanzia, e cioè le cause legali fatte alla Stretto di Messina. Infatti il consorzio che aveva vinto l’appalto Eurolink — capitanato da Salini Impregilo, oggi WeBuild, partecipata anche da Cassa Depositi e Prestiti (quindi dallo Stato) — ha in sospeso un appello con una richiesta di 657 milioni di euro per illegittimo recesso. Nella semestrale appena chiusa Webuild ha sollecitato il pagamento di altri 60 milioni per la copertura di costi già sostenuti. Un’altra causa da 90 milioni era stata intentata da Parsons, colosso dell’ingegneria civile Usa. Eurolink durante le fasi processuali ha ripetuto che rinuncerebbe alle pretese in caso di riapertura del progetto. Sarà problematico fare questo senza indire una nuova gara, peraltro con una società (WeBuild) che nel frattempo è diventata partecipata da Cdp, anche perché di mezzo ci sono finanziamenti europei. Se tutto andrà male (per i processi bisogna attendere il 2023) il conto del ponte che non si è fatto sarà di circa 1,2 miliardi.
Per il ministro Salvini il costo per la realizzazione del ponte è di 6-7 miliardi. Ma come si arriva a questa cifra non si capisce visto che di concreto ancora non c’è nulla. C'è invece un rimpallo su 50 milioni di euro. Sono i soldi messi a disposizione dalla ministra De Micheli nel 2020 al gruppo di lavoro per valutare soluzioni alternative al ponte a campata unica. Lo scorso giugno l’allora ministro Enrico Giovannini aveva mandato l’esito del gruppo di lavoro a Rfi, chiedendo di fare un nuovo studio di fattibilità e trasferendo a loro i 50 milioni. Ora nella nuova legge di legge di bilancio, all’art 82, si legge che «entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge la società Stretto di Messina rinuncia a tutte le pretese nei confronti della pubblica amministrazione, e viene revocato lo stato di liquidazione in deroga a quanto previsto dal codice civile, mentre Rfi e Anas (in quanto soci della Stretto di Messina) sono autorizzate a fare un aumento di capitale di 50 milioni per riorganizzare la società».