“Sì, mi chiamo Matteo Messina Denaro”. Poche parole, con tono arrogante, dopo un breve tentativo di fuga. Si chiude così, una mattina di gennaio, la latitanza trentennale del boss numero uno di Cosa nostra. La “primula rossa” della mafia, l’ultimo degli stragisti, “u siccu”, “diabolik”. Tanti soprannomi che hanno accompagnato il racconto della lunga latitanza del boss di Castelvetrano. Ieri l'ultimo atto.
E’ stato catturato alla clinica La Maddalena a Palermo, uno dei più importanti centri oncologici siciliani. In tasca la carta d’identità con il nome Andrea Bonafede. Ma quando gli agenti del Ros dei Carabinieri lo hanno bloccato ha svelato subito la sua vera identità.
Accanto a lui Giovanni Luppino, uno dei tanti fiancheggiatori di cui si è circondato in questi tre decenni di invisibilità.
Quella di ieri è stata una giornata storica, certamente, ma non segna la fine della mafia. Lo dicono chiaramente gli investigatori durante l’affollatissima conferenza stampa. E lo dicono anche fuori dal comando provinciale dei Carabinieri a Palermo, davanti a decine di ragazzi che applaudono e ringraziano, ma non mollano. Gli striscioni chiedono verità sulle stragi di mafia, sottolineano che il boss è stato preso dopo 30 anni.
La cattura
Un'operazione tradizionale senza confidente e senza nessun pentito. Così i militari del Ros e i magistrati palermitani sono arrivati alla cattura del boss Matteo Messina Denaro. Da almeno tre mesi gli inquirenti analizzavano le conversazioni dei familiari del capomafia intercettati. Spunti e battute di chi sa che è sotto controllo, ma non può fare a meno di parlare da cui è emerso che il padrino di Castelvetrano era gravemente malato, tanto da aver subito due interventi chirurgici.
I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati a certo un numero di pazienti. L'elenco si è ridotto sulla base dell'età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c'era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell'intervento, scoperto grazie alle intercettazioni, Bonafede era da un'altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Le indagini hanno poi confermato che stamattina Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio.
Quando si è reso conto d'essere braccato, ha accennato ad allontanarsi.
Non una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la casa di cura. I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari ringraziandoli.
“Si, sono Matteo Messina Denaro”, ha detto l’ormai ex latitante braccato.
“Oggi sapevamo che si sarebbe sottoposto a degli accertamenti clinici. La Procura di Palermo ha autorizzato le attività fino al punto di autorizzare l'intervento finale, con i Ros e i Gis, componente specialistica per interventi in situazione rischiose. Abbiamo agito in una struttura ospedaliera e volevamo garantire la sicurezza delle persone", dice il generale dei carabinieri Angelo Santo in conferenza stampa.
Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano.
Il nome falso e la malattia
Andrea Bonafede, nato a Campobello di Mazara il 23 ottobre del 1963. Eccola, la carta di identità di Matteo Messina Denaro, alias Andrea Bonafede, il nome falso scelto nella latitanza. Il boss era residente a pochi km dalla sua città natale, Castelvetrano, a Campobello di Mazara, in via Marsala 54. Di professione, si legge nella carta di identità, 'geometra'. E' alto 1,78, calvo e con gli occhi castani. Segni particolari "nessuno". La tessera, cartacea, è stata emessa l'8 febbraio 2016 e scade il 23 ottobre del 2026. E tra i documenti presentati in clinica e nelle strutture sanitarie da Messina Denaro, c'è anche una tessera sanitaria in scadenza il 22 ottobre 2025. Dai documenti sanitari, invece, si vede che lo scorso due gennaio 2023 ha effettuato dei controlli, presso il reparto di Chirurgia dell'ospedale San Vito e Santo Spirito di Alcamo. In questi anni si sarebbe operato a Marsala e avrebbe fatto controlli anche all’ospedale di Castelvetrano.
Un paziente generoso, lo descrivono gli altri pazienti. Andrea Bonafede, ossia Matteo Messina Denaro, regalava olio tutte le volte che si presentava alla clinica La Maddalena per sottoporsi alla chemioterapia. Negli ultimi due anni è stato ricoverato sotto falso nome per ben sei volte in day hospital.
Il covo e i fiancheggiatori
L’obiettivo degli inquirenti ora è scovare il covo in cui si è nascosto Matteo Messina Denaro. Ieri ci sono stati controlli e perquisizioni tutto il giorno a Campobello di Mazara e Castelvetrano, paese natale del boss mafioso. In ospedale Messina Denaro è arrivato in auto accompagnato da Giovanni Luppino, imprenditore agricolo incensurato fermato nel corso del blitz. I due sarebbero arrivati partendo da Campobello di Mazara, paese anche di Andrea Bonafede, l’uomo che avrebbe prestato l’identità usata dal boss. Le incessanti indagini dal 1993 hanno fatto sostanziale terra bruciata attorno a Messina Denaro, portando agli arresti di suoi fedelissimi come sorelle, cognati e fratelli. Le complicità però potrebbero essere ricercate anche fuori dalla cerchia famigliare. Il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia ha garantito che ulteriori verifiche saranno fatte nella stessa clinica dove il boss si è curato a lungo, come ha confermato anche la sua compagna di stanza durante la chemioterapia, per quanto lei sostenga di averlo conosciuto solo come Andrea. Quel che è risaputo, ha spiegato ancora il procuratore, è che «fette della borghesia» a lungo hanno fatto parte della rete di favoreggiatori, quindi professionisti inseriti in diverse realtà della società siciliana.
Il medico interrogato
Un primo interrogatorio è emerso per esempio per il dottore di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, Alfonso Tumbarello, che risulta sia stato il medico di base di Andrea Bonafede, cioè Matteo Messina Denaro. È stato lui a mettere nero su bianco la diagnosi che ha portato il boss al reparto di Oncologia della clinica Maddalena a Palermo, dopo l’operazione subita all’ospedale di Mazara del Vallo. Al setaccio degli inquirenti ora sono i passaggi che hanno portato il boss dal medico, quando sono cominciati i loro rapporti e se il dottore fosse a conoscenza o meno della vera identità del suo paziente.
Il racconto degli investigatori
Negli ultimi dieci anni sono stati eseguiti oltre cento misure cautelari nell'ambito delle indagini sul boss, con sequestri complessivi per 150 milioni di euro. Durante la conferenza stampa di ieri, affollatissima, i vertici dei Carabinieri, il Procuratore di Palermo De Lucia, il sostituto Paolo Guido, hanno spiegato molti passaggi delle indagini. Ma su altri ancora non ci sono risposte. Con quale auto veniva? Si è capito da dove veniva? Quando il Procuratore ha capito che era la volta buona? "C'è stata una forte accelerazione negli ultimi giorni, perché stavamo sempre stringendo il cerchio su questo paziente, che secondo noi era il latitante, e che aveva prenotato la visita specialistica per oggi. L'auto veniva dal Trapanese. Di più non possiamo dire. Così come non possiamo dire cosa accadrà nella provincia di Trapani. Fino ad ieri le intercettazioni registravano una grande unità intorno a Messina Denaro". "Senza Messina Denaro, Cosa nostra perde un uomo che era in grado di fare grandi affari. E' un colpo sensazionale a Cosa nostra". Gli investigatori insistono poi sui beni di lusso che indossava il latitante: un prestigioso orologio di marca, molto particolare e costoso, dal valore di 30mila euro.
Il grazie dei siciliani
"Oggi è una giornata storica - ha detto il procuratore de Lucia - che dedichiamo a tutte le vittime della mafia". Parole simili a quelle pronunciate dalla premier che ha aggiunto: "mi piace immaginare che il 16 gennaio possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò".
Fuori dal Comando provinciale dei Carabinieri, a fine conferenza stampa, una piccola folla di giovani espongono striscioni, fanno sventolare bandiere. Ringraziano i carabinieri per l’arresto dell’ultimo super latitante di mafia. Ma chiedono anche verità per le stragi.
Arriveranno i giorni delle analisi, dell’unire i puntini. Ma quella di ieri è stata una giornata storica, in cui finisce una latitanza durata 30 anni.