La quinta sezione penale e per le Misure di prevenzione della Corte d’appello di Palermo ha revocato la confisca dei beni disposta nel dicembre 2019 dal Tribunale di Trapani per il 54enne pregiudicato marsalese Pietro Centonze e per i suoi familiari. Un patrimonio valutato in circa tre milioni di euro.
A Centonze, cugino del capomafia ergastolano Natale Bonafede, e ai suoi familiari sono stati restituiti 15 immobili (abitazioni e terreni agricoli), 4 beni mobili (auto e moto), 4 società (gerenti due bar, due rivendite di tabacchi ed un’attività d’intrattenimento) e 14 tra conti correnti e rapporti bancari e postali. Oltre a disporre la restituzione dei beni (tranne un appartamento per il quale c’è una causa civile in corso con il venditore, è cioè lo zio Giuseppe Bonafede), a Pietro Centonze i giudici di secondo grado hanno revocato anche lo status di “sorvegliato speciale”. A difendere la famiglia Centonze sono stati gli avvocati Diego e Pasquale Massimiliano Tranchida e Raffaele Bonsignore. Arrestato all’alba del 22 gennaio del 2002 nell’operazione di polizia e Dda “Progetto Peronospera” (seguirono, poi, Peronospera II e III, tutte coordinate dai pm Roberto Piscitello e Massimo Russo), Pietro Centonze fu condannato, nel 2005, con sentenza definitiva della Corte d’appello di Palermo, a due anni e mezzo di carcere per favoreggiamento aggravato nei confronti di boss mafiosi all’epoca latitanti Giacomo e Tommaso Amato, entrambi in carcere da anni con condanna all’ergastolo.
Nel processo “Peronospera II”, invece, Centonze venne assolto dall’accusa di far parte della cellula marsalese di Cosa Nostra. Infine, dopo una condanna a 20 anni in primo grado, è stato assolto in appello (con successiva conferma della Cassazione) per il duplice omicidio di due tunisini di 31 e 34 anni uccisi con due colpi di fucile, la notte del 3 giugno 2015, in contrada Samperi, tra Marsala e Mazara, di fronte la Concasio. In questo processo è stato imputato insieme al cugino Domenico Centonze, 47 anni, assolto anche lui (lo ha difeso Luigi Pipitone) dopo le condanne in primo grado e in appello.
Tra i precedenti di Pietro Centonze, anche una vecchia condanna a un anno e 7 mesi di reclusione per estorsione e ricettazione in concorso con Francesco Lombardo, anche lui poi coinvolto nell’indagine “Peronospera”. La sentenza fu emessa dal Tribunale di Marsala il 2 novembre 1995. I reati furono commessi tra giugno e novembre 1988, quando Centonze e Lombardo, pattuito un compenso economico, si adoperarono per far trovare un ciclomotore rubato. Dopo l’esecuzione della confisca, nel settembre 2020, gli investigatori sottolinearono come il “curriculum criminale” del Centonze fosse “caratterizzato da numerosi e significativi contributi finalizzati ad agevolare Cosa Nostra”. Il difensore Diego Tranchida, invece, dichiarò: “Il provvedimento non tiene conto della più recente e garantista giurisprudenza di legittimità e della stessa Corte Costituzionale per verificare, senza automatismi, la sproporzione dei beni e l'attualità della pericolosità sociale anche nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso. Poi, già lo stesso Tribunale di Trapani, Sezione per le misure di prevenzione, con precedente decreto, aveva valutato il ‘curriculum criminale’ del Centonze Pietro negli stessi termini di pericolosità e di consistenza patrimoniale con un non luogo a provvedere e dunque con la restituzione di tutti i beni in sequestro. Per questi motivi è stato già avanzato ricorso in appello”. E adesso è arrivata la sentenza d’appello che ha ribaltato il primo grado.