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09/02/2023 06:00:00

Trapani, la mafia, Messina Denaro, la politica. Il caso Antonio D'Alì, spiegato / 3

 Stiamo, in questi giorni, su Tp24, spiegando le ragioni che hanno portato alla condanna dell'ex senatore trapanese, Antonio D'Alì. Lo facciamo per un dovere di chiarezza, dato che il nome di D'Alì è accostato a quello di Messina Denaro, e perché in questi giorni da più parti  c'è la necessità di sapere quali sono stati i rapporti tra l'ex sottosegretario agli Interni e la mafia, alla luce della condanna diventata definitiva in Cassazione. C'è inoltre come un sottotesto, in giro, per cui la stampa trapanese è in qualche modo reticente a parlare del caso. Noi, no. Lo abbiamo fatto, sempre, durante gli anni del processo, e con uno sforzo supplementare, adesso, stiamo cercando di fare un riepilogo analitico delle vicenda. 

Dopo una premessa generale, ieri abbiamo raccontato la vicenda della vendita fittizia di un vasto terreno in Contrada Zangara, a Castelvetrano, ad un prestanome di Riina, individuato da Messina Denaro. Andiamo avanti, anche nel tempo, e parliamo delle elezioni.

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Le prime in cui D'Alì si candida, e viene eletto sono quelle del 1994, le prime in cui debutta Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. La vittoria sarà schiacciante, per il centrodestra, e Berlusconi sarà per la prima volta (ma per poco ...) presidente del Consiglio. 

Le motivazioni della sentenza di condanna di Antonio D'Alì approfondiscono le elezioni del 1994, riportando una considerazione già emersa nelle precedenti sentenze: D'Alì aveva "scientemente" e nell'ambito di un patto politico - mafioso, ricevuto l'appoggio elettorale di Cosa nostra.

Il pentito Tullio Cannella riporta dichiarazioni del boss trapanese Virga, sull'appoggio a D'Alì. E' palermitano, e non lo conosce personalmente, ma lo indica come "soggetto scelto a rappresentare la famiglia mafiosa per il suo trascorso politico". La difesa ha fatto però notare che, prima del '94, D'Alì non si era mai impegnato in politica.  Virga ha detto a Cannella che "l'appoggio elettorale trapanese era tutto dirottato su D'Alì".

Francesco Giuseppe Milazzo, tuttavia, mafioso di Paceco, dice di non sapere nulla circa le vicende elettorali del 1994. Ma secondo la Corte Milazzo già nel '94, con l'ascesa di Virga, era stato "posato". Milazzo, che seguiva la gestione dei voti per la mafia a Paceco ("negli anni abbiamo votato Democrazia Cristiana e poi Partito Socialista"), esclude che D'Alì fosse nelle mani dei Messina Denaro, e che egli stesso fosse il referente della famiglia mafiosa trapanese nella Banca Sicula della famiglia D'Alì. 

E a proposito di Virga, ritorna come "pistola fumante" il telegramma inviato dal figlio di Virga, Francesco, a D'Alì, durante le feste di Natale del 1998: "Tu sei là che ti diverti, ed io qua rinchiuso. Io qua che faccio? Tu mi avevi detto che io non ci sarei andato a finire e invece tu te ne vai per i fatti tuoi", telegramma ricordato dall'ex moglie Aula e da Don Treppiedi (che ha ricordato la reazione furibonda di D'alì, quando l'ex moglie rilasciò un'intervista in cui citava il telegramma). La signora Aula, però, in udienza, ha detto di non ricordare più i contenuti del telegramma, e forse di aver fatto confusione. Alla giornalista Sandra Amurri, invece, in un'intervista aveva detto di aver conservato il telegramma in un cassetto, tra i maglioni di cachemire.

Le motivazioni si concentrano anche sulle elezioni del 2001, prendendo per buone le dichiarazioni di Antonino Birrittella (imprenditore mafioso) sull'appoggio a D'Alì anche in quella tornata elettorale. Birrittella, tra l'altro, nelle sue deposizioni, ha raccontato come il capomafia trapanese Pace gli avesse anche chiesto di appoggiare Maurici per Forza Italia alle Regionali, e il candidato Sindaco Fazio nell'autunno del 2001 (Fazio ha invece escluso di aver incontrato Birrittella e di averlo incarciato di organizzare per lui manifestazioni elettorali). Birrittella, sul punto cambia versione più volte. In un'altra occasione dichiara:  che l’indicazione proveniente dal Pace non era di votare D’Alì, bensì Forza Italia (“… Pace Francesco . le disse che la mafia trapanese doveva votare per Forza Italia o che doveva votare per D’Alì? ... no, abbiamo discusso di votare Forza Italia e quindi anche il senatore D’Alì … quindi il voto al senatore D’alì è consequenziale al fatto che fosse per Forza Italia? Cioè l’ordine della mafia trapanese è votare Forza Italia? ... Si, si, in quel momento si…”). 

Sulle elezioni, il Tribunale non tiene neanche conto delle dichiarazioni di un teste, Giuseppe Vento, che ha raccontato che alle Politiche del '94 il commercialista del boss Virga, Giuseppe Messina, lo contattò perché voleva mettere un pacchetto di voti a disposizione non di D'Alì ma del candidato concorrente di D'Alì, Garraffa, che era amico del boss Virga. Racconta il testimone in udienza: "Lo so per certo perché lui si vantava del fatto che gli avesse salvato un figlio, il Garraffa al Virga, e quindi avevano dei rapporti diretti. Perché il figlio ha avuto un incidente, non so che cosa, un malore e il Garraffa era Primario all’Ospedale Sant’Antonio a Trapani e lui si vantava del fatto che avesse salvato un figlio al Virga".  Messina, sentito per sommarie informazioni, ha detto di non ricordare: non lo ha confermato, di aver chiesto voti per Garraffa, ma neanche lo ha escluso. 
Se davvero D'Alì era appoggiato dalla mafia trapanese, come mai il boss di Trapani ha permesso al suo commercialista (che poi patteggerà una condanna per concorso esterno nel 2006) di appoggiare un candidato diverso? Per il tribunale questo "incidente di percorso" non può fare dubitare che Cosa nostra avesse dato disposizione ai suoi adepti di appoggiare D'Alì. Pertanto anche questa deposizione di Vento non è in grado, secondo i giudici, di scalfire quando detto da Birrittella, che per la Corte d'Appello è dunque attendibile.

Per la Corte di Appello "Cosa Nostra aveva deciso di appoggiare la candidatura del D'ALÌ anche nel corso delle elezioni del 2001 e ciò in quanto fino ad allora il medesimo sodalizio era rimasto soddisfatto del patto intercorso (appoggio elettorale verso il D'ALÌ in cambio di disponibilità di quest'ultimo verso le esigenze del sodalizio) e, quindi, della disponibilità dell'imputato nei riguardi delle loro istanze, con la conseguenza che quella “positiva” (ovviamente nell'ottica di Cosa Nostra) condotta in passato e fino ad allora (2001) tenuta dal D'ALÌ verso l'associazione per delinquere lasciava formulare una prognosi di analoga condotta "positiva" proiettata per il futuro, quantomeno per la durata del successivo mandato elettorale (2001-2006). Inoltre, neppure a seguito delle votazioni del 2001 e negli anni a seguire vi erano state lagnanze da parte di esponenti di Cosa Nostra circa l'operato dell'imputato, che quindi deve ritenersi continuasse ad essere "soddisfacente" in relazione alle istanze del medesimo sodalizio; soltanto nel 2005, poco prima che il BIRRITTELLA ed il PACE venissero arrestati "per mafia", il medesimo PACE aveva esternato a BIRRITTELLA Antonino la propria insoddisfazione verso il D'ALÌ in quanto, diversamente da quanto il medesimo politico gli aveva promesso, i suoi – del PACE – beni erano stati confiscati. A prescindere dall'esito della vicenda delle confische, comunque, il dato appare significativo di un persistente patto tra il D'ALÌ e Cosa Nostra, tant'è che anche dopo il 2001, verosimilmente in ragione dell'appoggio elettorale offerto al D'ALÌ da Cosa Nostra in relazione alla tornata elettorale del 2001, il PACE aveva chiesto all'imputato un indebito per tornare in possesso dei beni sequestratigli in sede di misure di prevenzione ed ii D'SLÄ° gli aveva promesso un proprio intervento al riguardo, sebbene poi o un tale intervento non vi era stato o comunque non era andato a buon fine".