Colpo, forse decisivo, a favore della difesa nel processo che davanti il Tribunale di Marsala vede imputato il 67enne mazarese Lucio Giacalone con l’accusa di aver incendiato una piattaforma aerea elevabile, il cosiddetto “ragno”, di proprietà dell’imprenditore edile Michele Tumbiolo.
Il fatto è datato 7 agosto 2017.
Adesso, una perizia medico-legale sembra scagionare l’imputato. Infatti, il medico legale nominato dal giudice Giusi Montericcio su richiesta dell’avvocato Vito Daniele Cimiotta ha stabilito, dando di fatto ragione alla difesa, che ad un soggetto di quell’età “occorrono più di due minuti per percorrere 130 metri con una frattura pertrocanterica scomposta”. La distanza è quella tra il luogo dell’attentato incendiario e quella dove il Giacalone venne trovato dalla polizia.
Lui disse di essere stato investito poco prima da un’auto pirata. Ma non fu creduto. Per gli investigatori, invece, si era ferito nell’attentato. E per questo motivo è finito pure a processo per truffa ad una compagnia assicurativa. Ora, l’esito della perizia potrebbe avere conseguenze su entrambi i processi. Quello per truffa si tiene a Bologna. “C'è qualche cosa che non va nei tempi – aveva sostenuto l’avvocato Cimiotta - Il soggetto che viene ripreso dalle telecamere a 130 metri di distanza dal luogo dell'incendio potrebbe non essere lo stesso trovato seduto nella via Mantova. Il primo soggetto, con due fratture all'anca, avrebbe percorso 130 metri in due minuti. Secondo la Procura sarebbe lo stesso che avrebbe percorso gli ultimi 20 metri in 5 minuti. Com’è possibile che per 130 metri ci stia due minuti e per 20 metri 5 minuti?”. Secondo l’accusa, il Giacalone, per allontanare da se i sospetti quale possibile autore dell’attentato incendiario, avrebbe presentato in Commissariato denuncia contro ignoti affermando che quella notte, intorno alle 3, in via Leto, una Fiat Panda lo investì, fuggendo subito dopo. Per questo, è accusato anche di simulazione di reato. Ma la difesa ha evidenziato anche altre incongruenze nella fase delle indagini. A mandare, infatti, sotto processo il Giacalone sono stati un cappellino trovato sul luogo dell’attentato e le scarpe del sospettato autore, che per otto mesi, però, prima di essere analizzati dal Ris, sono stati nello stesso plico. E quindi, secondo la difesa, ci potrebbe essere stata “contaminazione” tra i due reperti. E ciò l’avvocato Cimiotta lo ha posto in rilievo quando in Tribunale sono stati ascoltati i carabinieri del Ris di Messina, che a suo tempo avevano effettuato una analisi chimica di alcuni indumenti impregnati di benzina, uno dei quali, il cappellino, era stato trovato sul luogo, mentre altri, e cioè le scarpe indossate dal Giacalone, erano state prese dopo. E davanti al giudice Montericcio, su sollecitazione dell’avvocato Cimiotta, i militari Ris hanno confermato quanto sostenuto dal legale. E cioè che le scarpe e il cappellino sono stati conservati per otto mesi all'interno dello stesso plico, motivo per cui potrebbe esserci stata una “contaminazione”. L’incendio danneggiò le parti gommate ed elettriche del “ragno” e lo stesso autore dell’attentato, secondo l’accusa, rimase ferito.