“Incredibile e inspiegabile insuccesso di anni di ricerche”. Il gip Alfredo Montalto non si capacita di come, in tutti questi anni, non si sia arrivati alla cattura di Matteo Messina Denaro, nonostante le persone arrestate in questi mesi siano state già indagate negli anni passati.
Messina Denaro si nascondeva grazie a fedelissimi, persone note per la vicinanza al boss e alla famiglia mafiosa di Campobello e Castelvetrano. Eppure soltanto adesso si è arrivati alla sua cattura, dopo che conduceva una vita praticamente alla luce del sole, nonostante fosse l’uomo più ricercato d’Italia.
Tra queste persone c’era Laura Bonafede, figlia del boss di Campobello di Mazara, Leonardo Bonafede, moglie dell’ergastolano Salvatore Gentile, arrestata ieri perchè ha favorito la latitanza del capomafia di Castelvetrano. Laura Bonafede non è una semplice fiancheggiatrice, è la donna con cui Messina Denaro intratteneva un rapporto che andava oltre l’amicizia. La famiglia Bonafede è sempre stata legatissima ai Messina Denaro.
La procura di Palermo aveva chiesto l’arresto anche di Martina Gentile, figlia di Bonafede, e pupilla di Messina Denaro. Ma Laura Bonafede e Martina Gentile non sono nomi che vengono fuori solo adesso, solo in questi ultimi mesi nell’ambito delle indagini sulla latitanza di Messina Denaro.
Di loro si parla anche in un’indagine di diversi anni fa. E’ l’inchiesta Campus Belli, quella che una decina di anni fa decapitò la famiglia mafiosa di Campobello di Mazara e portò in carcere fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro.
In quell’operazione Leonardo Bonafede, boss di Campobello deceduto nel 2020, fu arrestato e successivamente condannato. La figlia, Laura Bonafede, venne indagata e poi prosciolta. Di lei parlano alcuni mafiosi intercettati, ai quali era stato riferito che un determinato “servizio” doveva essere effettuato “da soggetti indicati dalla figlia di Nardo Bonafede”.
Ma c’è anche Martina Gentile, figlia di Bonafede e dell’ergastolano Salvatore Gentile, menzionata nell’inchiesta. In particolare emerge che Cataldo La Rosa, uno degli esponenti della famiglia mafiosa di Campobello, “svolgeva per conto dei familiari del Bonafede le funzioni di autista e di factotum e che, al contempo, manteneva stretti e riservati contatti con il detenuto Salvatore Gentile avvalendosi della corrispondenza epistolare tra questi e la propria figlia Martina”. Gli episodi raccontati si riferiscono ad anni in cui Martina Gentile era ancora minorenne.
Gli investigatori ritengono “illuminante il colloquio registrato il 18 febbraio 2006 nel corso del quale Gentile invitava la ragazza a riferire al La Rosa di “ .. scrivergli..” avendo cura poi di inserire la lettera del sodale all’interno della insospettabile busta che la minore avrebbe poi inviato al padre”.
Stessa richiesta viene fatta nel maggio 2006, quando Gentile ”nel corso di una telefonata effettuata dalla struttura carceraria dove era ristretto, si lamentava con la giovane Martina che La Rosa non gli aveva più scritto”.
L’inchiesta Campus Belli, già dieci anni fa, disarticolò la famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e in particolare i Bonafede, molto legati, da decenni, alla famiglia Messina Denaro.
Era risaputo da tutti: se Matteo Messina Denaro doveva affidarsi a qualcuno per la latitanza, quella era la famiglia Bonafede. Fedelissima, anzi, devota al boss.
Anche per questo, il gip si spinge a dire che “quel che disorienta è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili, bensì ad un soggetto conosciutissimo dalle forze dell’ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione ed amicizia con i[ padre di Messina Denaro”.
Il gip evidenzia l'incredibile e inspiegabile insuccesso di anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara “costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno ventisei), una normale esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente)”.
Tra questi c’era Laura Bonafede, insegnante di scuola elementare, permeata dalla cultura mafiosa, come, d’altronde, la figlia Martina, già in giovanissima età tirata dentro le cose mafiose. Sia la Bonafede che la Gentile non hanno esitato a organizzare la loro vita per fornire assistenza a Messina Denaro, assistenza prestata con orgoglio e ferma convinzione ("carissimo adorato" scriveva la Gentile che si sentiva "protetta" dal latitante), segno inequivocabile di una, purtroppo, irredimibile adesione allo stile di vita mafioso.