Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
19/04/2023 06:00:00

Quegli omicidi del marito di Laura Bonafede commessi insieme a Messina Denaro

 Laura Bonafede, arrestata nei giorni scorsi, non è soltanto figlia di Leonardo, storico capomafia di Campobello di Mazara. È anche la moglie di Salvatore Gentile, uno degli uomini di fiducia di Matteo Messina Denaro, utilizzato dallo stesso come basista per assassinii commessi a Campobello di Mazara. Gentile è all’ergastolo per aver partecipato negli anni ’90, insieme al boss di Castelvetrano, a due omicidi: quello di Pietro Calvaruso e quello di Nicolò Tripoli.

 

L’omicidio di Pietro Calvaruso

 

E’ durante la guerra di mafia contro la famiglia mafiosa di Alcamo, che Matteo Messina Denaro ordina di sequestrare e uccidere Pietro Calvaruso, organizzando un commando composto dagli uomini più pericolosi di tutta la provincia di Trapani, che si riuniscono proprio a casa di Leonardo Bonafede. Messina Denaro affida al genero del capomafia campobellese, cioè proprio a Salvatore Gentile, il compito di indicare ai complici la cantina dove “prelevare l’obiettivo”.

Calvaruso era un pregiudicato 44enne di Alcamo, con precedenti per mafia, rapine e sequestro di persona che lavorava per un’azienda di trasporti.

La mattina del 26 settembre del 1991 era appena arrivato alla cantina “Falcone”, guidando un mezzo che trasportava un silos di mosto. Ma stavolta la persona sequestrata sarebbe stata lui.

Nella piazzola di sosta della cantina, Vincenzo Milazzo, del clan opposto a quello dei Greco, gli puntò la pistola, lo costrinse a salire nella macchina guidata da Matteo Messina Denaro e partirono a tutta velocità.

Arrivarono a Triscina nella casa di un altro componente del commando, Giuseppe Clemente, dove la vittima, sospettata di aver favorito la latitanza di mafiosi della cosca dei Greco, fu interrogata.

Dopo l’interrogatorio, Messina Denaro, gli mise una corda al collo e lo strangolò. Poi lo spogliarono - racconta il pentito Francesco Geraci - lo avvolsero in una coperta, lo legarono con un corda e lo deposero vicino alla spiaggia di Tre Fontane. Poi lo coprirono con delle sterpaglie e gli diedero fuoco. Una ventina di ossa ed un teschio furono ritrovati soltanto nell’agosto del 1992.

A questo omicidio, oltre a Messina Denaro e Salvatore Gentile, avrebbero partecipato anche Vincenzo Sinacori, Andrea Gancitano, Antonino Alcamo, Gioacchino Calabrò ed altri.

 

L’omicidio di Nicolò Tripoli

 

Nicolò Tripoli aveva 40 anni, ma con la guerra tra cosche non c’entrava nulla. Matteo Messina Denaro decise che doveva morire perché rubava. O almeno, queste erano le risultanze delle “indagini” interne di Cosa nostra. Lavorava nelle tenute del capomafia Leonardo Bonafede e l’accusa era che avesse rubato trattori ed altri mezzi meccanici nella zona di Campobello di Mazara.  Quello era un ambiente in cui la “sentenza” la decideva l’accusa e la pena era quasi sempre la stessa, senza possibilità di appello.  

 

Il pomeriggio del 14 gennaio del 1993, nella strada tra Campobello e Tre Fontane, Tripoli aveva imboccato con la sua Fiat Croma una stradina per andare in una cava abbandonata dove teneva gli animali. Ma prima che arrivasse al recinto, racconta il pentito Vincenzo Sinacori che era alla guida di una Fiat Uno provenendo dalla direzione opposta, fu obbligato a fermarsi. Salvatore Gentile conosceva bene la vittima e aveva il compito di confermarne l’identità. Rimase abbassato nella Fiat Uno fino all’ultimo, per evitare di essere riconosciuto e una volta che Messina Denaro, Sinacori e Gancitano individuarono la vittima, per averne la certezza, gli chiesero se fosse lui. Gentile si sollevò e diede la sua conferma.

Matteo Messina Denaro scese con un fucile e gli sparò attraverso il parabrezza. Tripoli, ferito mortalmente, rimase con il piede sull’acceleratore, finendo sulla macchina dei killer. Sinacori per evitare che la Uno arretrasse, tirò anche il freno a mano, mentre un altro complice, Andrea Gancitano, scese dall’auto e sparò ancora, attraverso il finestrino lato guida. Dopo averlo ucciso, gli tolsero il piede dall’acceleratore.

Per questo omicidio, oltre all’ergastolo a Messina Denaro e Salvatore Gentile, furono processati anche Vincenzo Sinacori, Francesco Geraci e Davide Riserbato.

 

Riepilogando, degli omicidi per i quali Salvatore Gentile è all’ergastolo, Matteo Messina Denaro non è stato solo il mandante, ma anche uno dei principali esecutori.

Colpisce poi il fatto che, nel caso di Calvaruso, a far parte del commando insieme al boss di Castelvetrano ci sia stato anche Vincenzo Milazzo.

Si tratta dello stesso Milazzo che Messina Denaro farà uccidere poco più di un anno dopo, perché in disaccordo con la strategia stragista di Totò Riina. E siccome la sua fidanzata 23enne, Antonella Bonomo, sarebbe stata a conoscenza di troppe cose, fece uccidere anche lei.

 

Egidio Morici