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23/05/2023 06:00:00

Se la sanità siciliana è salvata dai medici extracomunitari

 Una scena di qualche settimana fa, al pronto soccorso dell’ospedale di Trapani. Un paziente, stanco di aspettare, dà in escandescenze, tira fuori un coltello, aggredisce il personale, costretto a barricarsi in uno stanzino, in attesa dell’arrivo della polizia.

Altra scena, questa volta tragica, a Collesano, provincia di Palermo. Antonio Grisanti, settantaquattro anni, panettiere, ha un infarto. La figlia chiama l’ambulanza. Che arriva quarantacinque minuti dopo, da Cefalù: ventisei chilometri di strada provinciale. Era l’unica ambulanza con rianimatore a bordo disponibile nel territorio. Quando è finalmente sul posto, il medico può solo constatare il decesso dell’uomo. «Nemmeno in Africa si muore così», commenta la figlia, Santina.


Episodi come questi in Sicilia sono sempre più frequenti. Medici aggrediti da pazienti esasperati in attesa al pronto soccorso, persone che muoiono per mancanza di ambulanze, o in attesa di un esame. Nell’Isola, ad esempio, su duecentocinquantuno ambulanze, solo centootto prevedono il medico a bordo. Ma tra queste circa il venti per cento non hanno comunque il medico, perché camici bianchi, in Sicilia, non ce n’è. È il dramma che vivono i pronto soccorso dell’Isola, con un tasso di scopertura dell’organico che arriva anche al quaranta per cento. La conseguenza è che intere zone della Sicilia, soprattutto quelle interne o periferiche, sono sguarnite. Così come gli ospedali: il tasso di scopertura del personale medico è del trenta per cento ci sono reparti retti da un solo dottore.

Non è un periodo facile per la sanità siciliana (forse non c’è mai stato, in realtà). Il nuovo assessore, Giovanna Volo, fortemente voluta da Renato Schifani, non ha ancora trovato la quadra su tanti fronti aperti, e non sta brillando certo per spirito di iniziativa. Tanto che dall’opposizione è partita una mozione di sfiducia. L’emergenza Covid ha segnato cicatrici profonde, tra strutture annunciate e mai realizzate, cantieri persi nel nulla, liste d’attesa infinite e periodici scandali che si ripetono.


L’ultima inchiesta, di qualche giorno fa, della Procura di Catania, ha portato alla misura interdittiva per un anno dai pubblici uffici di ben due ex assessori regionali, tra i quali proprio l’ex assessore alla Sanità, il giovane avvocato Ruggero Razza, pupillo del ministro Nello Musumeci. L’inchiesta riguarda l’ennesimo sistema clientelare che vede a braccetto politici e medici per condizionare appalti, progetti da finanziare, selezioni pubbliche.

Ma è nella prima linea che si registrano i maggiori problemi. I medici fuggono dalla sanità pubblica, soprattutto quella di emergenza-urgenza. Per attirare personale le aziende sanitarie le hanno tentate tutte. Ricchi bonus, premi, benefit. Ma non c’è nulla da fare. L’ultima carta resta quella degli extracomunitari. Proprio loro. Che già salvano i presidi ospedalieri e i punti nascita dalla chiusura, essendo gli unici rimasti a fare figli. Ma adesso potrebbero anche curare i siciliani. Le Aziende Sanitarie Provinciali, infatti, hanno cominciato a chiamare anche i medici fuori dall’Unione europea. E l’operazione sembra funzionare.

Un modello virtuoso già c’è. A Mussomeli sono i medici stranieri che stanno salvando la sanità pubblica. Il dottor Gabriel, cinquantuno anni, geriatra, si è trasferito con la moglie e quattro figli. La dottoressa Laura Lator, è la prima chirurga argentina assunta da un ospedale pubblico. Ha trentasette anni. È specializzata in gastroenterologia e patologie del cancro al colon. È mamma di due bambini. I suoi figli frequentano già l’asilo di Mussomeli, il marito, insegnante di Educazione fisica, ha trovato lavoro come istruttore di padel. Grazie a lei può riaprire il reparto di chirurgia dell’ospedale di Mussomeli, perché era rimasto solo il primario. Altri sei medici argentini, chirurghi ortopedici e specialisti in medicina interna, verranno assunti a breve. Uno è Luciano Verrone, traumatologo del Boca Juniors, la squadra di calcio dove militò Diego Armando Maradona.

Ma come nasce questa passione dei medici argentini per Mussomeli? Il borgo, ormai in parte abbandonato (diecimila abitanti, ma l’ospedale serve la popolazione di quindici comuni) tempo fa ha lanciato, come tanti altri comuni siciliani, l’iniziativa delle case in vendita ad un euro (con l’obbligo della ristrutturazione, però, e della residenza). E una coppia argentina, venuta in vacanza in Sicilia, si è innamorata dei luoghi e ha deciso di cambiare vita e di stabilirsi qui. Sono Erica Moscatello, pronipote niente di meno che di Ernesto Che Guevara, e il marito Javier Raviculè. E si sono fatti promotori di Mussomeli nel loro Paese.

Questa è gente che la rivoluzione ce l’ha nel sangue, e quando hanno visto le pietose condizioni della sanità pubblica, si sono fatti da tramite con i vertici della sanità locale per capire se c’era spazio per loro, per i medici dall’altra parte del mondo. Mille riunioni, permessi, carte bollate infinite, poi, più della burocrazia poté la necessità di medici, e l’esperimento è partito davvero.

Da Mussomeli l’esperimento dei “camici senza frontiere” si estende adesso a macchia di leopardo in tutta la Sicilia. A Trapani sono pronte le prime assunzioni, con un dottoressa dall’Ucraina e un marocchino. Stessa cosa stanno tentando altre aziende sanitarie in Calabria, che hanno un filo diretto con Cuba.

Ma non bisogna cercare lontano. Molti medici stranieri già vivono in Italia. Spiega Foad Aodi, presidente dell’Amsi, l’Associazione Medici Stranieri in Italia, che nel nostro Paese «sono oltre 77.500 professionisti di origine straniera ed è difficilissimo per loro lavorare nel settore pubblico perché il sessantacinque per cento non ha la cittadinanza italiana. Si tratta per lo più di medici e infermieri, ventiduemila e trentottomila. E poi odontoiatri, fisioterapisti, farmacisti, psicologi, tecnici radiologi. Un patrimonio umano prezioso – aggiunge – ma purtroppo otto su dieci lavorano nelle strutture private e solo il dieci per cento riesce a servire nelle strutture pubbliche. Quasi tutti i concorsi, infatti, hanno come prerequisito la cittadinanza italiana». Adesso per loro si aprono nuove strade. Così come già arrivano le prime richieste da parte di medici tunisini e siriani.

L’impatto finora è più che positivo. I medici stranieri portano entusiasmo, e danno nuova linfa e vitalità ad un sistema che sembra segnare il passo. Da soli però non bastano, se non cambia anche il modo in cui, da sempre, la politica gestisce la sanità, soprattutto in Sicilia. Che siano i medici immigrati a salvare la sanità pubblica, è una lezione che molti faranno finta di non ascoltare. E magari un giorno saranno necessari anche i politici stranieri, per salvare la Sicilia da se stessa.