La seconda sezione penale della Corte d’appello di Palermo ha assolto dall’accusa di violazione degli obblighi imposti dalla sorveglianza speciale il 60enne imprenditore mazarese Matteo Tamburello, che in primo grado, il 22 marzo 2021, era già stato assolto dall’accusa più grave: associazione a delinquere di stampo mafioso.
In entrambi i casi le assoluzioni sono state pronunciate con la formula “perché il fatto non sussiste”. L’imprenditore (figlio di Salvatore Tamburello, defunto esponente di Cosa Nostra mazarese) era stato accusato di avere incontrato altri presunti mafiosi dopo essere uscito nel 2015 dal carcere, dove aveva scontato una condanna a 9 anni per associazione mafiosa. Incontri che per i pm della Dda sarebbero stati finalizzati a riprendere in mano le redini della "famiglia". Per lui, in primo grado, il sostituto procuratore Pierangelo Padova aveva chiesto la condanna a vent'anni di carcere.
“Le dimissioni da Cosa Nostra non sono mai state contemplate, si esce con la morte o se si inizia a collaborare con la giustizia - aveva detto il pm Padova durante la requisitoria - quindi ritrovare Tamburello negli stessi ambienti che frequentava prima dell'arresto che portò alla sua condanna, ci dimostra il suo ritorno operativo sul territorio”. E per questo, la Dda aveva fatto ricorso in appello contro l’assoluzione per mafia e poi chiesto due volte la riapertura dell’istruttoria dibattimentale in appello con nuove fonti di prova. Ma per i giudici di secondo grado Tamburello non è colpevole per nessuno dei due capi d’imputazione contestati. A difendere Tamburello, arrestato l'11 dicembre 2018 dai carabinieri del Ros, è stato in entrambi i gradi di giudizio l’avvocato marsalese Luigi Pipitone, che adesso, in attesa che l’assoluzione diventi definitiva, probabilmente già medita il ricorso per ottenere il risarcimento per “ingiusta detenzione”. Per questo procedimento, dietro le sbarre Matteo Tamburello (scarcerato su richiesta della difesa contestualmente alla sentenza di primo grado, seppur con obbligo di dimora a Mazara) c’è rimasto circa due anni e quattro mesi.
Il processo a Tamburello è scaturito dall’operazione “Eris” dell’11 dicembre 2018, quando, a seguito delle perquisizioni effettuate dai carabinieri, furono arrestati, per detenzione illegale di armi, Giovanni Como, fratello di Gaspare, cognato di Matteo Messina Denaro, e l’imprenditore mazarese Diego Vassallo. Nel corso del processo, l’avvocato Luigi Pipitone è riuscito a dimostrare che Tamburello, dopo essere uscito dal carcere, non sarebbe tornato ad operare in seno al contesto mafioso mazarese e che l’intercettazione in cui sembrava che avesse detto “Vito Coffa”, riferendosi al defunto capomafia Vito Gondola, in realtà diceva “Nino Pompa”, che era un suo ex dipendente. “E che non disse Vito Coffa – sottolineò l’avvocato Pipitone nel processo di primo grado – è stato stabilito da ben due perizie”. Adesso, anche l’assoluzione dalla seconda accusa. “E’ stato un grande successo” commenta il difensore di Matteo Tamburello.